Le parole di Francesco Loi, tecnico della Costa Orientale Sarda, intervenuto alla puntata inaugurale della nuova stagione de “Il GioveDì di 131”, andato in onda sui nostri canali social.
Anno nuovo, prima vittoria a Uri.
“È stata sicuramente una partita difficile, un derby di quelli veri, dove i punti in palio erano pesanti. Siamo riusciti a portarla a casa con una caratteristica che questa squadra ha messo in campo quest’anno, la voglia di non mollare mai e di giocare tutte le partite fino all’ultimo secondo. finora ci ha premiato in diverse occasioni. E’ stata una partita molto difficile, perché avevamo un avversario ben messo in campo, fisicamente molto forte, con un’identità precisa. Siamo riusciti a spuntarla noi, ma è stata la classica partita equilibrata dove un episodio poteva fare la differenza”.
Dalla gara con l’Uri nel 2023 a oggi è cambiato tanto nel Cos.
“Quella partita è stato uno dei punti di riferimento per costruire la stagione ed è stato uno dei punti più bassi della scorsa stagione, dove abbiamo subito in lungo e in largo l’avversario sotto tutti gli aspetti. Avevamo pagato tanto anche a livello tattico. Affrontare l’Uri non è mai facile né in casa ne fuori, è sempre quadrata, che non molla mai, che ti aggredisce, che fa dell’esuberanza atletica una delle caratteristiche, ha un modulo spregiudicato che se non riesci a prendere le misure crea grandi difficoltà. Quest’anno abbiamo trovato le giuste contromisure, dal punto di vista mentale i ragazzi hanno affrontato le partite in modo diverso, anche domenica non è stato facile ma la grande forza è stata stare in partita, essere propositivi, abbiamo avuto diverse palle gol per fargli male, poi alla fine sono arrivati tre gol su palla inattiva che per noi stavano diventando un po’ una rarità”.
All’andata, la sensazione era che la squadra si dovesse conoscere.
“La partita è stata molto equilibrata fino alla fine. È stata la prima pietra che abbiamo messo sul nostro progetto, perché ci fu l’esordio di Cabiddu, un tassello per valorizzare tanti giovani fino a quel momento sconosciuti alla categoria. Non è semplice, però ci sta dando risultati. E’ vero non ci conoscevamo ma il mio pensiero su questa squadra è che ancora non si conosce alla perfezione perché ruotando con così tanti giocatori e scommettendo spesso su questi profili, c’è bisogno sempre di trovare equilibri, non fosse altro che poi a Sassari ce le hanno suonate di santa ragione, pareggiamo in casa con l’Ischia una partita dove vincevamo 2-0, pareggiamo anche con il Gladiator, quindi abbiamo fatto due punti nelle tre partite successive a quella di Uri”.
Come conciliare risultato in campo, lancio dei giovani e identità sarda?
“Non è facile conciliare questi valori e devi avere la capacità di affrontare i momenti difficili, perché non sempre le cose vanno bene ma bisogna perseverare, perché il rischio enorme è quello di affidarti a ragazzi che spesso non sono pronti al cento per cento, ma l’altra faccia della medaglia è che se non hanno mai la possibilità non diventeranno mai pronti. Hai anche la forza di reggere dei periodi a vuoto che ci possono stare sia nella crescita della squadra e sia quando scegli di valorizzare ragazzi che devono costruire un percorso da zero. Non possiamo bendarci gli occhi e non vedere cosa sta succedendo, dove le risorse delle società a livello tecnico sono sempre meno e quello che sta emergendo dal basso è insufficiente per sorreggere un movimento che abbia durata nel tempo. È l’unica scelta che ci permette di fare qualcosa di sostenibile nel tempo per evitare di prendere 20 ragazzi dal resto del mondo, che hanno pari diritto di poter giocare e non giudico le scelte di chi lo fa, ma in una realtà piccola come la nostra significherebbe l’inizio della fine. Il nostro obiettivo è quello di lasciare in futuro una struttura autosostenibile su tutti gli aspetti. Scelta voluta ma obbligata”.
Quanto è gratificante vedere i risultati quando si rischia?
“Non bisogna essere ipocriti. Quando sono stato chiamato per vincere, sicuramente ho costruito sempre squadre fatte da giocatori forti e non giovanissimi. Quando l’obiettivo cambia, si devono mettere in campo le indicazioni che portano alla riuscita di quel progetto, con tante difficoltà. Zinzula è un 2005 di Muravera, Loi 2006 è di Arzana ma sono due ragazzi che sono espressione di quello che è racchiuso nel nostro nome. La capacità di rischiare è direttamente proporzionale alle soddisfazioni che ne derivano. Noi oltre a questi ragazzi, abbiamo profili molto interessanti, ovviamente il risultato fa la differenza quindi bisogna prima raccogliere i risultati in campo perché poi hai quel pizzico di serenità in più per mettere in campo i tuoi progetti. Non bisogna nemmeno arrendersi alla prima difficoltà. Nel calcio il gran vantaggio è il tempo, tutto ciò che riusciamo ad anticipare quest’anno ce lo ritroveremo l’anno prossimo”.
Avete messo in piedi da zero un settore giovanile in un territorio molto vasto. E la Juniores dimostra che la strada è quella giusta.
“Si è partiti con la Juniores dal fatto che gli ultimi anni era un problema tirarla su, perché viene fatta spesso per obbligo e i numeri scarseggiano. Il territorio è vasto, frazionato e scarsamente popolato rispetto ad altre zone. L’unico modo per differenziarci era attingere da un territorio molto vasto con grandi difficoltà a livello organizzativo e anche un dispendio economico importante. Abbiamo scelto di investire perché non potrebbe essere diversamente. Dai raduni per visionare dei ragazzi, quello che emerge è che pensavamo arrivassero 20 o 30 ragazzi, ne sono arrivati 80 e probabilmente ne sarebbero arrivati la settimana dopo 150 se avessimo deciso di fare il secondo step. La prospettiva è che quest’anno ne arrivino 200, ci sono tutte le condizioni perché questo avvenga. Quello che deve far riflettere è che fra questi ragazzi, dove inizialmente speravamo di individuare due o tre profili con le capacità di poter fare la categoria, neanche cercare campioni fatti ma cercare di metterli in campo in Serie D. Quello che sorprende è che in questi raduni i ragazzi capaci di fare la categoria era una percentuale che sfiorava il 35/40 per cento. E questo ci deve far riflettere, perché è molto più semplice avere due contatti di procuratori campani, argentini o laziali che in tre minuti ti fanno arrivare due traghetti di ragazzi. Per essere auto-sostenibili è cercare di avere il coraggio di scommettere su qualcuno che è già in loco e che poi realmente non è che sia così indietro rispetto ad altri. Con questo non voglio demonizzare i ragazzi che arrivano dalla Campania, dall’Argentina, o dal Lazio, anche perché anche noi abbiamo qualche profilo e sono ragazzi validi, di prospettiva sui quali lavoriamo con lo stesso impegno e prospettiva dei ragazzi sardi. Però questo può durare fino a quando tieni la categoria. Se dovessi beccare un’annata storta, perché nel calcio succede, un conto è trovarti con 250 iscritti al settore giovanile ed essere pronto a ripartire, un altro è trovarti nel deserto più totale e rischiare il fallimento. Perché poi il passo sembra sempre lontano, ma nel calcio ciclicamente ci sono le annate che vanno molto bene, altre che vanno malissimo. È un attimo. Basta sbagliare tre o quattro partite di fila e rovinare un campionato, e se non ti sei parato le spalle prima con un po’ di programmazione, rischi di farti male”.
Lo dimostrano i casi del Latte Dolce e dell’Ilvamaddalena quest’anno in Eccellenza.
“Sì, ma sono due modi di vedere il calcio completamente diversi, perché il Latte Dolce ha uno dei settori giovanili migliori in Sardegna, è risaputo, quindi quando è caduto si è rialzato con le proprie forze. L’Ilvamaddalena probabilmente in questo momento ha una forza economica un po’ fuori dalla normalità dell’Eccellenza e si può permettere di andare a provare a rivincere il campionato con 13 o 14 ragazzi che arrivano dal Sud America. Non dico che una cosa sia migliore dell’altra, spero sempre che a La Maddalena ci sia quella forza economica e la spinta della tifoseria che fa la differenza, il Latte Dolce probabilmente lavora con principi diversi, nel calcio poi quello che conta è il risultato. La lungimiranza sta sempre nel pensare al momento in cui non hai la forza economica, se hai lavorato bene in prospettiva puoi fare comunque molto bene con dei costi molto ridotti e avendo 10 o 12 ragazzi sul territorio, pronti e su cui puoi fare affidamento. Per le piccole realtà, secondo me è l’unica medicina che puoi avere per il futuro, considerando che ormai il calcio non è più solo campo e allenamento ma è una disciplina complessa dove tutto quello che avviene anche al di fuori ha un peso molto importante”.
Prossimo impegno contro il Latte Dolce: che gara sarà?
“Mi aspetto domenica una partita difficile, perché affrontiamo una squadra che è un gruppo solido guidato da un allenatore esperto e vincente. Non dimentichiamoci la storia di Giorico, che ovunque è stato ha centrato l’obiettivo. Quando è stato chiamato a fare i miracoli, li ha fatti come salvare la Torres già data per retrocessa e garantirgli anche la possibilità di fare quello che sta facendo ora. Senza Mauro Giorico la Torres oggi probabilmente giocherebbe ancora in Eccellenza, andare ad Arzachena e tenerla in Serie C, andare ad Alghero e vincere, a casa tua, che è la cosa più difficile. Tanto di cappello a un allenatore che pesa nell’economia della squadra, ma senza fare troppe sviolinate, poi quello che fa la differenza sono i giocatori. Il Latte Dolce ha giocatori importanti per la categoria, è vero che una squdra che come tradizione ha sempre puntato sui giovani, ma non dimentichiamoci che i ’97 e i ’98 oggi non sono più giovanissimi. La grande capacità è stata prendere dei profili regionali under importanti, quali Muscas, quali Aru, quella di riportare il portiere dato in prestito alla Nuorese e farlo crescere, e poi metterci dentro ragazzi come Cabeccia, Saba, Patacchiola, Russu, Scognamillo. Esempi da seguire, perché sono ragazzi che hanno fatto la trafila, sono dei riferimenti per i giovani che possono crescere molto più in fretta. Domenica sarà un derby, all’andata hanno vinto loro, 4-2, ho chiesto scusa io per tutta la squadra dopo la partita di Sassari. Penso che sia la lezione più importante che ci poteva capitare, perché da quella partita poi abbiamo fatto 14 o 15 risultati utili consecutivi, ma questo non significa che saremo in grado di farli al ritorno. Questo è un campionato dove puoi perdere con chiunque, domenica per noi sarà la partita della vita come lo sarà per loro, per noi è uno scontro diretto, per dare una colpetto a chi ci sta dietro al sestultimo posto, perché tuttora se penso a quali possano essere le squadre che vanno a fare i play out, ho grandissime difficoltà a pensare che il Trastevere, l’Anzio o la Boreale, il Flaminia facciano i playout. Però sei devono stare dietro”.
Mercato: alcuni volti nuovi, tra esperienza e giovani di talento.
“Sono state scelte programmatiche, rivolte al campionato in corso ma tutti ragazzi con i quali si è raggiunto un accordo di almeno un anno e mezzo, perché Santoro arriva dalla pubalgia, è sardo e rispecchia i principi del progetto, giovane, forte, educato e sta bene nel nostro gruppo. Sulis è un ragazzo del territorio, nonostante abbia fatto tutta la trafila del Cagliari, è un ragazzo su cui punteremo anche nei prossimi anni, Xaxa è un 2008 che farà il pari con i nostri due 2007 del settore giovanile, Tangianu, Piras e Sanna. Non siamo andati a guardare l’altezza ma le caratteristiche che ci interessano. A me interessa che pari, poi se non è alto due metri non mi interessa granché. Non vedo perché si debba stroncare la carriera di un ragazzo solo perché non è alto 1.90 m. Però ragazzi mentalmente pronti, perché si allenano con i grandi e dimostrano di avere la voglia di fare sacrifici. Mesina è un altro ragazzo del territorio, Dorgali. Megaro è una scommessa, con un fisico importantissimo, tecnicamente molto valido, ha l’ultima possibilità di diventare giocatore over, visto che è un 2003, speriamo vada bene così che possa stare nel gruppo. Zurbriggen è un giocatore fatto, ha fatto Coppa Libertadores, Serie A e B argentina, è un giocatore importante dal punto di vista dell’esperienza. L’ho preso perché è laureato, ha fatto il corso di direttore sportivo, è molto intelligente, talmente tanto che non sapendo parlare una parola di italiano ha girato tutti gli uffici pubblici possibili, ha fatto tutti i documenti senza parlare una parola d’italiano. E’ un profilo di un ragazzo positivo, che può vendere esperienza che può far crescere i ragazzi non solo dal punto di vista calcistico ma anche gestionale di quello che dovrà essere il loro futuro. Sono tutti i principi che vanno messi sul piatto, non si può essere solo calciatori oggi, bisogna essere imprenditori di se stessi, medici di se stessi, questi sono i calciatori del 2024. Se uno non si sa gestire dal punto di vista mediatico, di immagine, di serietà, di saper vendere se stesso. Oggi ti scontri in un mondo difficile dove o hai qualcuno che ti ci porta con uno sponsor o sei un bravissimo imprenditore di te stesso con la capacità di scegliere chi ti deve accompagnare là- Questi ragazzi hanno scelto un bel treno per poterli accompagnare dove vogliono andare”.
La Redazione