Cinquantacinque gol in 173 presenze. Terzo marcatore rossoblù di sempre in Serie A con 45 reti. Numeri che, forse, non bastano comunque a riassumere ciò che Luis Oliveira – per tutti “Lulù” – ha rappresentato nelle cinque stagioni con addosso la maglia del suo Cagliari. In mezzo, tre campionati all’ombra viola del Franchi. Un’esperienza che, per l’ex attaccante belga, aggiunge allo scontro diretto di domani tra isolani e Fiorentina un’inevitabile carico di emozioni.
Come è stato il ritorno in Sardegna da avversario?
“La prima volta che sono tornato a Cagliari abbiamo vinto 4-1 e segnai un gol. Fu molto bello il fatto che la gente allo stadio non mi fischiò. Spesso capita che quando un giocatore va via dalla squadra, qualche parte della tifoseria ti applaude e qualche altra ti fischia. In quel periodo non accadde niente, a parte quando segnai. La cosa importante, comunque, è lasciare un segno, come ho fatto in qualsiasi città in cui ho giocato. Ho avuto un grande rispetto della gente. Quello significa che hai fatto qualcosa di importante”.
Che tipo di sfida si aspetta domani?
“Le due formazioni devono assolutamente cercare di vincere, sono messe male. Credo che nessun dirigente o tifoso di Cagliari e Fiorentina si sarebbe mai potuto immaginare che il proprio club si potesse trovare in zona retrocessione. Che tipo di Cagliari mi aspetto? Quando una squadra è in questa situazione, bisogna attaccare e cercare di vincere. Con Mazzone in panchina, negli anni in cui vestivo la maglia rossoblù, mi ricordavo che cercavamo sempre di attaccare. Poi stava agli avversari scoprirsi per andare alla ricerca del pareggio. Se il Cagliari va a Firenze e si chiude, prima o poi un gol lo prende. In questo caso, poi deve trovare il pari e, a quel punto, si apre. Allora perché non attaccare dall’inizio? Nell’ultima partita, invece, i rossoblù sono andati in vantaggio ma hanno poi subìto la rimonta degli avversari. Hanno avuto le occasioni per vincere la partita ma nel mondo del calcio, si sa, serve buttarla dentro”.
Cosa sta mancando a questo Cagliari? Il mercato potrebbe aiutare i rossoblù a superare l’attuale periodo di grande difficoltà?
“Penso di sì. Il Cagliari sta cercando qualcosa di importante per la squadra. I rossoblù fanno molti gol ma, al contempo, ne subiscono molti. Ciò significa che difesa, centrocampo e attacco lavorano male dal punto di vista difensivo. La colpa non è solamente della retroguardia. Certo, spesso ci sono degli errori individuali ma se la squadra è concentrata e ha lo spirito giusto, diventa più semplice difendere e ti dimostri una formazione più equilibrata. Nel mondo del calcio, in generale, ci dev’essere grande senso di sacrificio. Bisogna lottare per cercare di fare gol, ognuno deve dare una mano al proprio compagno, al presidente, alla squadra e alla tifoseria”.
Da attaccante, in quale giocatore si rivede di più in questo Cagliari?
“In generale, nel calcio italiano è Lautaro Martinez la punta che mi assomiglia maggiormente. L’argentino è piccolo, veloce, ha il tiro a giro e possiede delle qualità simili alle mie. Difficile, comunque, fare un paragone con qualche giocatore del Cagliari. Il mondo del calcio è cambiato. Oggi non si fa più vedere la tattica. Quando giocavo io, si poteva andare agli allenamenti delle squadre e vedere ciò che facevano. Oggi, non è più possibile. Quando vestivo le maglie di Cagliari e Fiorentina, per conoscere il mio compagno di squadra dovevo lavorare. Dopo la fine dell’allenamento restavo un quarto d’ora insieme a Dely Valdes o Batistuta e gli chiedevo come volessero la palla. Una volta che conosci il tuo compagno, sai già in anticipo cosa devi fare sul campo. Questa è una cosa fondamentale. Ora, credo che nel mondo del calcio manchi un pochino questo aspetto. Non posso saperlo con certezza perché non si può più vedere ciò che le squadre fanno in allenamento. Non so se si faccia ancora. Ho sentito anche altri miei compagni e so che, dopo che finisce l’allenamento, molti giocatori tornano nello spogliatoio, prendono la maglietta e scappano”.
Alessio Caria