Bai e Circa è la rubrica di centotrentuno.com che riscopre e analizza i luoghi storici di Cagliari e della Sardegna.
Il cimitero di Bonaria
Varcato l’ingresso principale, si trova immediatamente l’ufficio informativo. All’interno troviamo degli addetti comunali, disponibili e non molto impegnati (una di loro è addirittura intenta a fare l’uncinetto). Ci viene spiegato subito che per una comprensione più approfondita dell’arte scultorea all’interno del cimitero è possibile scaricare un’app comunale. Ci consegnano poi una piccola brochure con una mappa, e ci informano che se fossimo interessati, potremmo fare il giro turistico con una guida, peccato che il Comune non abbia ancora rinnovato l’appalto per la società che se ne occupa e che non ci sappiano dare ancora delle date certe. In sostanza bisognerebbe farlo in forma privata. Ringraziamo, lasciamo l’ufficio e entriamo a tutti gli effetti nel cimitero.
Basta un rapido sguardo intorno a sé per notare che siamo entrati in un museo a cielo aperto. I primi passi nella parte più antica (quella alla base del colle) si fanno con molta curiosità, e le statue di cui ci hanno parlato all’ingresso fanno quasi subito capolino. Infatti, percorrendo un piccolo tratto lungo la cinta muraria di viale Cimitero, si incontra una delle statue più note. La vedova Todde, marmorea e adorante verso il defunto marito. Risalta subito la perizia tecnica nell’esecuzione della statua ad opera di Sartorio (autore di numerose fatiche all’interno del cimitero), accuratissima e sorprendentemente realistica. Aldilà dell’apprezzamento estetico, possiamo anche cogliere la misura auto-celebrativa dell’opera, qualcosa che si potrà notare facilmente anche in molte altre sculture. Appare infatti una costante, tra le statue più antiche, questa “sfida” portata avanti dalla vecchia società altolocata cittadina, ad avere il prodotto artistico meglio eseguito e che riuscisse a dimostrare la massima devozione familiare. Gara curiosa, sicuramente, ma non difforme da quello che oggi viene fatto per celebrare il proprio status all’interno della società.
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Continuando verso l’adiacente settore quadrangolare troviamo gli unici due interventi di rilievo operati dal Comune. Il primo è “Il giardino dei ricordi”, cosi hanno voluto chiamarlo. Un’area circondata da piccole siepi, dove al centro si trova una struttura muraria circolare alta quasi un metro, riempita di pietre granitiche, dove i cittadini, a pagamento, possono disperdere le ceneri dei propri cari. Di fronte, vediamo l’altro provvedimento recente, una ristrutturazione di più di 200 colombari per un nuovo utilizzo. Entrambe iniziative meritevoli, visto l’immobilismo degli ultimi cinquant’anni. Peccato per la solita lentezza, dato che la consegna dei nuovi loculi sarebbe dovuta avvenire più di un anno fa. Per il momento accontentiamoci dei buoni propositi.
Lasciandosi dietro tutto questo, si può continuare il giro turistico accompagnati dai numerosi gatti che girano indisturbati, e che riescono a trasmettere un’aria di serenità. È con questa serenità che affrontiamo la parte più brutta del camposanto: i gradoni Cima, in onore del famoso architetto che fra le altre opere cittadine si era occupato anche dell’allargamento del cimitero. Salendo i primi gradini si resta senza parole per lo stato di abbandono. La scalinata si estende tra dei terrazzamenti dove le lapidi a parete sono a pezzi o al peggio murate, e le terrazze sono inaccessibili perché totalmente invase dalla vegetazione. L’unico intervento pervenuto nella zona è la solita transenna, per evitare l’accesso. Troppo poco.
Arrivati in alto, troviamo le cappelle familiari. Inutile dire che anche qui l’alternanza tra decadenza e bellezza è la regola. E ci si chiede quanto ancora possano durare e resistere in questo stato.
Per concludere il nostro percorso torniamo giù, verso l’ingresso principale, fiancheggiando le mura verso via Ravenna, e qui troviamo l’ultima nota piacevole del luogo. La statua intitolata “L’ultimo bacio”, sempre ad opera di Sartorio. A nostro avviso la più bella del cimitero. Un piccolo capolavoro dedicato alla morte prematura di Francesca Warzee. La giovane donna giace su un sarcofago e di fronte a sé ha suo figlio intento a darle quell’ultimo bacio per poterla salutare. Anche in quest’opera la tecnica di esecuzione è ineccepibile. E ugualmente, come per la vedova Todde, si ha più pena per il sofferente che per il defunto.
Arrivati alla fine di questo tour, sicuramente affascinante a tratti, è quasi automatico pensare a un parallelismo con il cimitero acattolico di Roma. Differente certo e più prestigioso, ma anch’esso trattato come un museo, e ricco di personaggi illustri come Emilio Lussu e Antonio Gramsci. Bonaria nel suo piccolo, dà rifugio a stimati cittadini come Ottone Bacaredda, Giovanni Spano e tanti altri, ma non soffermandoci sui nomi e riflettendo piuttosto sulla bellezza e sul romanticismo del luogo possiamo affiancare i due cimiteri e pensare che siano ugualmente importanti per la città. Il nostro per migliorarsi potrebbe prendere ad esempio dei piccoli accorgimenti attuati per il cimitero romano, come la gestione privata, affidata ad una associazione, e la possibilità di effettuare delle donazioni individuali per la manutenzione del sito. Due stratagemmi validi da prendere in considerazione per il nostro cimitero monumentale che custodisce la memoria della nostra amata città. Per non rimanere come sempre incastrati in una bellezza potenziale che non riesce a manifestarsi pienamente per la solita noncuranza.
Enrico Mura
GUARDA LE FOTO DI ENRICO LOCCI (Agenzia Fotocronache)