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#3 | Castello, che desolazione…

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Bai e Circa ci fa riscoprire i luoghi più belli e significativi di Cagliari e della Sardegna, analizzandone caratteristiche e gestione.

Superato l’ingresso del parco e iniziata la camminata, si incontra presto uno svincolo con due sentieri. Il primo conduce verso gli ascensori (che una volta tanto non sono funzionanti), l’altro percorre il lato panoramico. La scelta è obbligata ma non lascia delusi. Si apprezza il buon mantenimento del parco, anche per l’assenza di cartacce o rifiuti in terra. Continuando a salire si incontra la pineta, che nel suo piccolo fa parte della storia del colle data la sua nascita risalente al 1867, per mano del marchese Roberti di san Tommaso che una volta acquistato si occupò del rimboschimento del colle.

Arrivati in cima la prima cosa visibile è il bar ristorante che sapevamo aperto tutto l’anno. Ma alle 17:00 di un pigro mercoledì tutte le serrande sono abbassate. Rinunciamo al caffè pomeridiano ma ci rifacciamo la vista con il bellissimo castello.

Davvero imponente, bianchissimo grazie alle sue mura calcaree, originarie delle cave di Bonaria. Una fortezza dalla storia estremamente lunga che inizia probabilmente nel IX-X secolo a difesa di Santa Igia (capitale del giudicato di Cagliari) poi modificata dai Pisani (le torri testimoniano il loro intervento). Creata inizialmente con scopi militari perde le sue finalità con l’arrivo degli Aragonesi, i quali dopo aver preso il potere lasciano l’intero colle alla famiglia Carroz che ne fa la propria residenza.

Il primo che prende possesso del castello è Berengario nel 1325, ma la possidente che stimola di più la nostra curiosità è sicuramente sua nipote Violante Carroz. Donna che visse a tutti gli effetti una vita di lutti. Perderà in giovinezza prima la madre e a distanza di dieci anni anche il padre. In età adulta piangerà il primo e il secondo marito, e per finire entrambi i figli poco più che ventenni. Passa però alla storia cittadina per ben altre ragioni. Nell’ultimo periodo della sua vita infatti le viene affibbiato il soprannome di “sanguinaria”, per aver fatto sbudellare e impiccare nella torre del castello un canonico, Giovanni Castangia. Colpevole probabilmente di averla ostacolata in qualche bega amorosa.

Dopo i Carroz il castello fu abbandonato. Venne poi riutilizzato 100 anni dopo come rifugio durante l’epidemia di peste, passata agli onori di cronaca per essere stata debellata dal primo voto a sant’Efisio. Dopo ciò fu alternativamente sfruttato per scopi militari e civili fino ai giorni nostri.

Conoscendo l’antica storia iniziata quasi un millennio fa si scalpita per entrare e scoprire di più. Una volta dentro spiccano solo due cose: acciaio e policarbonato. Tutto il fascino storico del luogo è ormai perduto, non c’è traccia di medioevo. Sembra di essere in un centro congressi alla fiera campionaria. L’unica cosa che ricorda ai visitatori di essere all’interno di un castello sono le mura perimetrali, fortunatamente ancora conservate nella loro interezza. Ci regala un pochino di rammarico pensare che i pannelli informativi siano una delle poche cose che testimoniano la storicità del luogo.

La rocca da parecchi anni viene utilizzata per esposizioni artistiche di vario genere, in passato anche importanti. Noi purtroppo capitiamo nel momento sbagliato e non vediamo altro che pannelli spogli senza opere. La signora all’ingresso ci spiega che l’ultima mostra è finita da poco, ma che a breve ce ne sarà un’altra (non ci viene spiegato quando). Prima di andare via ci si ferma al bookshop per vedere dei libri d’arte e poter fare la conoscenza di un gatto che fa capolino all’improvviso. Si chiama Sissi e pare frequenti con piacere i dintorni del castello. Una coccola veloce è d’obbligo visto che sembra l’unica tra i presenti ad essere contenta di accogliere dei visitatori.

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Usciti dall’ormai ex castello rimaniamo con l’amaro in bocca perché nonostante il monumento sia fruibile ai cittadini grazie anche e soprattutto all’impegno di un associazione cittadina organizzatrice di eventi artistici, non possiamo fare a meno di pensare a ciò che scrisse Francesco Alziator, ormai quasi 40 anni fa, in uno dei tanti articoli sulla città quando sul colle l’unica presenza cittadina era quella della marina militare con i suoi ripetitori. Alziator scriveva “…in quelle sale potrebbero raccogliersi le molte armi e le armature, ora sparse nelle collezioni pubbliche e private, e sugli spalti potrebbero tornare i vecchi cannoni ora ridotti in bitte lungo le banchine della darsena vecchia, e costituire cosi un degno complemento della stupenda rocca del magnifico belvedere. È solo lo ripetiamo, questione di buona volontà”.

Ecco, buona volontà. Impiegata certamente con la rivalorizzazione del sito, ma venuta meno quando facendo determinate scelte sono stati persi per strada tutto il fascino e il passato storico del castello.

Enrico Mura

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