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Waldemar Victorino

PINTURAS | Waldemar Victorino

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Pinturas: ritratti di uomini normali e straordinarie imprese.

Il gol giusto al momento giusto. Oggi, anno 2020, basta un video su YouTube. Ieri, anno 1981 no, era diverso, le telecamere c’erano e non c’erano. Un uomo dovrebbe ringraziare Silvio Berlusconi, ma a questo ci arriveremo dopo. Prima o poi con il lavoro i successi arrivano, basta saper aspettare, se poi sei un pescatore l’attesa silenziosa fatta di pazienza è parte del tuo essere. Anche se resta il mistero su quel soprannome, El Pescador, ora noto solo per i ricordi nefasti che lo accompagnano, i gol sbagliati, l’illusione, il ritorno oltreoceano.

Waldemar Barreto Victorino è un nome che è diventato presto leggenda, ma al contrario. Un uomo che se nomini a Montevideo sono occhi che si illuminano, ma se lo fai in Sardegna, Cagliari, allora sono i denti ad essere illuminati dal sole mentre la bocca si apre in una profonda e lunga risata. Nel calcio quelli come Victorino hanno un’etichetta: bidone. Nonostante i gol, tanti, segnati in giro per il Sudamerica, nonostante sia stato il protagonista di finali vinte e dell’ultimo trionfo internazionale dell’Uruguay. Ed è qui che torna Silvio Berlusconi, involontario deus ex machina del viaggio di Victorino da Montevideo fino a quell’isola in mezzo al Mediterraneo, primo di una lunga serie di giocatori che porteranno e portano la garra charrúa a Cagliari.

Nel 1981 viene organizzata la Copa de Oro, meglio nota come il Mundialito. Una competizione per nazionali, anzi, per le nazionali per eccellenza. Si scontrano solo quelle che hanno vinto almeno un Mondiale, l’Olanda unica eccezione al posto di una Inghilterra che rinuncia all’invito. Il teatro è proprio l’Uruguay, Stadio del Centenario di Montevideo. È l’occasione per un imprenditore che ha iniziato a cambiare le dinamiche della televisione italiana di sferrare uno dei suoi primi colpi al servizio pubblico. Diritti televisivi, quel Mundialito deve entrare nelle case degli italiani e diventare una competizione vera a tutti gli effetti, ché se la trasmettono in diretta tv allora qualcosa varrà, pensa Berlusconi.

Difficile vedere all’opera certi giocatori al principio degli anni Ottanta, i video skills di oggi erano un mistero di ieri, la Serie A aveva appena riaperto le porte agli stranieri e la curiosità per i nuovi arrivi si trasformava in speranza. Chi arrivava dall’estero doveva essere forte, non c’erano dubbi, se poi le statistiche lo precedevano perché sospettare il pacco? E poi c’è Victorino, lo hanno visto tutti battere Bordon in quella partita del Mundialito, lo hanno visto tutti segnare anche nella finale contro il Brasile il due a uno che fa tanto riedizione del Maracanazo 31 anni dopo. El Pescador, il pescatore, capocannoniere della competizione, rapace d’area, un Inzaghi ante litteram.

Forse anche lui sospettava di essere un bluff, chissà, perché dopo quella vittoria contro i verdeoro decide di lasciare per sempre la Celeste, d’altronde ai Mondiali dell’anno dopo l’Uruguay non ci sarà. Come quelle canzoni One Shot, successo effimero che ti apre le porte per un nuovo futuro, Victorino è un calciatore one shot. Non solo perché il suo mestiere è stare dentro i sedici metri, aspettare e poi colpire, ma anche perché la sua carriera vive fasti concentrati in una stagione, in un gol, o almeno è così per chi non tifa Nacional.

Tutto avviene con discreto ritardo nella carriera di Waldemar, un ritardo che i tifosi del Cagliari impareranno a conoscere quando in area di rigore non sarà mai al posto giusto al momento giusto. Victorino ha infatti 22 anni quando arriva nel calcio che conta, prima il pallone erano sfide nel barrio Cerro, erano i camion da scaricare al Mercado Modelo, non di certo folle festanti e gol da ricordare. Nato a Montevideo il 22 maggio del 1952 Waldemar è di famiglia povera, ma non di quelle che vivono alla giornata tipiche del calcio sudamericano, povera sì, ma senza che mancasse davvero mai nulla sulla tavola. Il barrio Cerro è la sua casa e lo sarà per sempre, nonostante i viaggi che gli regalerà il pallone. Il quartiere è poesia futbolistica, meglio quei campionati con la sua gente che il professionismo, finché un giorno un amico non lo invita a provarci, il Progreso si allena e lui accetta. William Martinez, questo il nome del tecnico di quella squadra della Serie B uruguaiana, Waldemar arriva, si piazza in attacco vista l’assenza del centravanti titolare e nonostante lui fosse un volante fa ciò che tutti gli vedranno fare da quel momento in poi, segnare. Due gol, quanti soldi vuoi per giocare? Victorino vuole solo dare due calci al pallone: “Lo stesso che guadagno per scaricare i camion al mercato”, risponde.

Fino ad allora le uniche volte che era entrato in un vero stadio era come spettatore, il Centenario il suo habitat, aprire le porte dei taxi sotto la tribuna olimpica il suo modo di racimolare qualche soldo per la Coca Cola e il chorizo e poi dentro a vedere il suo Nacional. Il suo Nacional, chi se lo sarebbe aspettato quando era ragazzino che un giorno avrebbe potuto vestirne la maglia, eppure…

Prima il River, quello uruguaiano s’intende, tre anni dal 1975 al 1978, fino all’occasione della vita, il Peñarol bussa alla porta del presidente Castro Quintana, Victorino è già venduto ai gialloneri, ma… c’è un ma. Waldemar è un hincha del Nacional, “No Don Castro, sono troppo tifoso per andare dai rivali, mi scusi” e così il trasferimento salta. Un treno perso? Per nulla, perché poco dopo arriva la chiamata della sua squadra del cuore e come quella volta con il Progreso, anche con il Nacional quando gli viene chiesto quanto vorrebbe di stipendio lui fa spallucce e risponde con un semplice: “Dove devo firmare?”.

Ci mette poco, pochissimo per farsi amare da chi ama, debutto contro il River, questa volta sì quello argentino, e subito gol, il primo di tanti. Capocannoniere della Libertadores nel 1980, gol vittoria in finale contro l’Inter di Porto Alegre di fronte a Falcao, rete decisiva nella finale della Coppa Intercontinentale a Tokyo nel 1981 contro un certo Peter Shilton, Nottingham Forest, capocannoniere del Mundialito, capocannoniere del campionato uruguaiano, miglior giocatore del suo Paese per due anni di fila prima che inizi la dinastia di Ruben Paz e del principe Enzo Francescoli.

Chiude la carriera con la Celeste quando raggiunge l’apice, in totale saranno 15 gol in 33 presenze, per Waldemar lo scaricatore di camion, il lavavetri, il pulitore di bagni, l’ammaestratore di pastori tedeschi arriva l’occasione da non perdere. Serie A, Italia, Sardegna, Cagliari. Addirittura per lui si scomoderà Luigi Riva, la leggenda delle leggende, che volò verso Montevideo per andare a prenderlo e portarlo in rossoblù nell’estate del 1982, acquisto importante come Bearzot confermò. Il CT di quella nazionale che Riva avrebbe dovuto commentare assieme a Nando Martellini nel mondiale di Spagna, ma alla quale dovrà rinunciare proprio per andare a prendere Victorino da dirigente rossoblù.

Waldemar El Pescador Victorino arriva in Sardegna nel luglio del 1982, le prime dichiarazioni non lasciano spazio ai dubbi. “Ho 30 anni e sono molto contento di avere l’opportunità di giocare gli ultimi anni in una squadra italiana, è un po’ il coronamento dei miei sogni”.

Trent’anni che negli Ottanta erano il tramonto della carriera, ma Waldemar è sempre arrivato tardi, anche se il destino per una volta lo farà essere il primo di una dinastia che nessuno immagina sarà il futuro dei rossoblù, quella degli uruguaiani, una storia di successi – tanti – e fallimenti con in testa proprio Victorino. I gol in nazionale, quelli con il Nacional, lo zampino in ogni partita importante, le premesse ci sono tutte e poi quella rete contro l’Italia che tutti hanno visto alla tv, che grande acquisto ha fatto il Cagliari. Con Victorino e Uribe si sogna, altro che salvezza…

Il suo nuovo allenatore è Gustavo Giagnoni, l’uomo con il colbacco che lo saluta con speranza. “Con Victorino sono tranquillo, è un uomo che i suoi gol li ha sempre fatti e quindi sono sicuro non deluderà”. Eppure proprio Giagnoni sarà il primo a capire che qualcosa non torna, tanto da alimentare leggende con una battuta che segnerà l’esperienza del centravanti uruguaiano. No, questo non può essere un trentenne, ha almeno dieci anni in più disse Giagnoni e la figurina Panini non aiuta a non trasformare una battuta in voce di popolo. Victorino sembra davvero più vecchio della sue età e c’è chi dice dopo i primi errori che quello non è nemmeno lui, ma suo fratello scarso. Leggende appunto, perché essere una leggenda non è solo frutto di eroismo ma anche dell’esatto opposto, una leggenda al contrario che Waldemar rappresenta ancora oggi per i tifosi del Cagliari, anche per quelli che non l’hanno mai visto giocare.

Forse gli mancò il suo barrio, Cerro, quello dove vivono gli amici e dove si ferma ancora oggi a parlare con la gente, o forse il grande impegno che sempre metteva in allenamento e in partita non era abbastanza come lo era in patria, la patria della garra charrúa che risolve tutto perché se ci metti l’anima non serve altro. No, in Italia servono i gol, a quel Cagliari poi ancora di più ché il centravanti designato sarebbe lui prima che quella porta sempre amica non gli volti le spalle. In Sardegna aspettano i suoi gol, una, due, tre, dieci partite di campionato e poi basta, la squadra sprofonda e non si può più attendere quell’attaccante dal passato prolifico e dal presente tutto polveri bagnate ed errori clamorosi. Giagnoni forse non ci credeva nemmeno tanto, un’altra leggenda dice che lo mettesse nell’undici titolare solo perché costretto, c’era da giustificare un acquisto che fece rumore, ma a far ancora più rumore sono i mugugni di un pubblico che dalla speranza per il campione è presto passato alla disillusione del bidone.

La Serie A non è come un cartone animato giapponese, Ramón Victorino è solo un personaggio di Holly e Benji che da capitano dell’Uruguay terrorizza le altre nazionali, ma il vero Victorino, Waldemar, terrorizza solo chi impreca in curva per i suoi errori. La fine della sua esperienza in Sardegna arriva in una piccola cittadina del sud-ovest dell’Isola, Iglesias, in un’amichevole che può essere utile per cambiare il proprio destino e invece diventa la croce sul suo futuro. La palla è diretta in porta, Victorino è lì, a due passi, deve solo spingerla verso la rete, ma no, nemmeno in un campo di periferia senza il pubblico a confondere riesce a fare gol. Palla alle stelle, sconforto e da lì in poi solo panchine. Si dice che Victorino non abbia mai segnato a Cagliari, ma anche quella è una leggenda perché nell’epica dell’illusione due gol a tabellino li mise, ma era solo Coppa Italia e uno su rigore, niente di importante come era solito fare in Uruguay.

La squadra a fine anno retrocede in maniera clamorosa, i due stranieri arrivati da oltreoceano sul banco degli imputati, Uribe e Victorino anche se il peruviano almeno qualche sprazzo di classe lo mostrò, ma Waldemar no, Waldemar lo si ricorda solo per essere stato il primo uruguaiano della storia del Cagliari, il peggiore di tutti. A fine stagione saluta, accompagnato da un’altra leggenda che vede i dirigenti rossoblù arrivare a offrire 100 milioni al Newell’s Boys pur di fare in modo che lo prendessero, il Cagliari finisce in B e Victorino piano piano continua la sua strada verso il fallimento. Gioca un po’ ovunque, al Colón di Santa Fé arriva in Serie B pagato come una star per riportare gli argentini in Prima Divisione senza successo, anzi, ancora una volta come un’illusione mai diventata realtà.

Finirà di giocare a 38 anni, 1990, con tanti gol segnati – importanti – e altrettanti sbagliati. Resta vivo il ricordo di quelle reti al Mundialito, della Coppa Intercontinentale con il mano il trofeo da miglior giocatore, il colpo di testa nella finale di Libertadores e quell’etichetta di bidone in Serie A impossibile da rimuovere.

Matteo Zizola

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