Pinturas: ritratti di uomini normali e straordinarie imprese.
Lo sconosciuto più conosciuto d’Argentina. L’italiano che in Italia non ha mai giocato. Il sardo – di origine per parte di padre – che in Sardegna pochissimi ricordano. Eppure è tuttora il maggior cannoniere della storia della Ligue 1, la Serie A francese, idolo indiscusso dei tifosi del Monaco, amico del Principe Alberto: monsieur 300 buts.
Delio Onnis nasce il 24 marzo del 1948 a San Giuliano di Roma, paese in provincia di Frosinone, Ciociaria: madre del luogo e padre di Nurallao – il cognome non nasconde le sue origini – e passaporto italiano pur se in Italia, praticamente, non ci ha mai vissuto. Ha quasi tre anni quando la famiglia si trasferisce in Argentina alla ricerca di fortuna: il Paese natale nel dopoguerra soffre, il padre dopo una prima toccata e fuga in Sud America decide di portare con sé il piccolo Delio e la moglie, Luigia De Cesaris.
Tutto comincia a Palermo, barrio di Buenos Aires, dove la famiglia Onnis prende casa di fronte al campo dell’Atlanta, uno stadio allora conosciuto come Cajoncito, una delle prime coincidenze della vita di Delio: arrivare in una nuova nazione a nemmeno tre anni compiuti e crescere con davanti un campo da calcio, nonostante il suo futuro ancora lontano. Coincidenze, appunto, come quella volta che da adolescente accompagna un amico all’allenamento dell’Almagro, si siede in tribuna a vedere gli altri ragazzi che giocano, l’allenatore si avvicina e gli chiede se vuole unirsi. D’altronde manca un giocatore, in campo sono dispari e uno in più fa più che comodo: Delio Onnis accetta l’offerta e da lì inizia la sua storia fatta di gol e strani bivi del destino, beffardo in alcuni casi, fortunato in altri.
Inizia a muovere i primi passi nelle giovanili del Club Almagro di Buenos Aires, dal 1963 fino alla prima squadra, 5 anni prima di passare nel 1968 al Gimnasia y Esgrima La Plata dove inizia a farsi conoscere: arrivano i gol, tanti, e il sogno di poter vestire un giorno la maglia dell’albiceleste. Delio El Tano: Delio l’italiano, così è conosciuto in quel Paese che sì gli ha dato cittadinanza e possibilità nel calcio, ma non ancora quel passaporto che gli permetterebbe di giocare con la nazionale. Renato Cesarini lo chiama, lui è nello spogliatoio pronto a giocarsi le proprie carte, ma lui è El Tano ed El Tano senza quei documenti che mancano non può restare, deve alzarsi e abbandonare il suo sogno.
Lo sconosciuto più conosciuto d’Argentina, dicevamo. E poi c’erano Mario Kempes, Leopoldo Luque, più tardi un certo Diego Armando Maradona, e soprattutto lui, Carlos Bianchi: sì, quello che poi farà incetta di coppe da allenatore del Velez Sarsfield prima e del Boca Juniors poi, e che passerà anche per la Roma negli anni ’90 (con la malsana idea di mandare un certo Francesco Totti in prestito alla Sampdoria per farsi le ossa). Quella con Bianchi sarà una rivalità sportiva che durerà anni: amici lontano da casa, entrambi in Francia, la staffetta a Reims, prima uno e poi l’altro, i titoli da capocannoniere contesi, il dominio delle aree della Ligue 1 da spartirsi per un decennio.
Reims, ovvero una piccola squadra alla ricerca di una punta che sostituisca un mito come Raymond Kopa. Inizialmente l’oggetto del desiderio del club della città che i romani chiamavano Durocortorum non è Delio, ma Alfredo “Mono” Obberti, centravanti del Newell’s Old Boys di Rosario: tutto sembra fatto, El Mono è pronto a fare le valigie mentre Onnis nemmeno pensa alla Francia, poi però un altro caso del destino cambia il corso della storia. La moglie di Obberti non ci sta, non vuole accettare quel viaggio oltreoceano, vuole restare in Argentina. Così il Reims vira su Delio, anche se c’è un piccolo problema, ovvero una partita da giocare quella stessa sera: il presidente del Gimnasia vuole vietare al suo cannoniere di scendere in campo, ma Onnis non ci sta e nonostante una costola malandata gioca, male, e non tocca un pallone nella sconfitta per tre a zero della sua squadra.
Nonostante tutto, nonostante il rischio corso, a cena arriva la firma e così nasce il mito del nomade internazionale, come lui stesso ama definirsi: si va in Francia, non la Ligue 1 di oggi, non tra i primi cinque campionati di Europa, professionismo sì, ma calcio di livello non di certo assoluto, però c’è da fare il proprio lavoro, segnare, e Delio lo fa fin da subito. Esordio, una partita che il Reims non merita di vincere,, messo alle corde dagli avversari, ma che alla fine grazie alla doppietta di Onnis porta a casa: “A volte nella vita devi avere culo”, sentenzierà anni dopo il sardo-argentino, ma non può essere tutta sorte se in carriera segni con una continuità disarmante e ancora oggi sei il recordman del campionato francese.
El Tano diventa un ricordo, ora si va dritti verso il Monsieur: Reims diventa la sua casa dal 1971 al 1973, lì inizia a farsi conoscere per il suo stile, quei calzettoni sempre abbassati e nessun parastinco. Un predatore dell’area senza grande tecnica, ma con un fiuto per il gol fuori dalla norma. Per spiccare il volo però bisogna cambiare, Reims sta stretta. E poi c’è stata quella piccola vacanza nel Principato di Monaco, una cartolina, l’idea un giorno di tornarci, e…quel giorno arriva all’alba della stagione 1973-74, quando il presidente Jean-Louis Campora lo porta sulle rive del Mediterraneo, lo stesso mare di quell’isola paterna che risuona nel suo cognome.
Quello con il Principato è un amore a prima vista, lì Delio si sente a casa, diventa a suon di reti idolo indiscusso che ancora oggi fatica a camminare per le strade di Monaco senza che venga fermato da un tifoso per scambiare qualche parola o senza che nelle orecchie riecheggi un’altra volta il suo nome cantato a squarciagola. “Deeelioooo / Deeelioooo” è musica nota per i tifosi biancorossi, perfino il più importante di tutti, il Principe Alberto, non può fare a meno di salutarlo così ogni volta che si incontrano.
Onnis è talmente importante per chi lo ha vissuto al vecchio Stade Louis II che un giorno un tifoso lo ferma per la strada, gli chiede un autografo mentre Delio, vedendo la figlia nel passeggino, gli fa i complimenti per quella piccola bambina al seguito: “Si chiama Delio” gli dice quell’uomo, Delio, un nome da maschio a una bambina, roba da non crederci. Onnis non capisce, pensa di aver forse confuso il sesso, invece no: quel tifoso rappresenta quanto di più pazzo ci sia nell’idolatria verso Monsieur 300 buts, fare di tutto, anche oltre la burocrazia, per chiamare la propria figlia come l’amato campione.
La prima stagione al Monaco è ricca di gol, la seconda è quella della consacrazione: 30 reti, titolo di capocannoniere, 30 gol che solo il suo amico-rivale Carlos Bianchi, Jean Pierre Papin e Zlatan Ibrahimovic hanno eguagliato o superato da quella stagione in poi. Del Monaco è anche il capocannoniere in assoluto nella storia del club, 223 in tutte le competizioni: con il club del Principato conoscerà anche l’onta della retrocessione nel 1975-76, ma non lascia, anzi, raddoppia, diventando capocannoniere della Serie B e assoluto protagonista della immediata risalita della sua squadra. Da neopromosso, poi, arriva l’impresa: Monaco campione di Francia nel 1977-78, con il solito Carlos Bianchi – sì, sempre lui – che non gli lascia la gioia del titolo personale nella classifica marcatori, ma conta poco.
In quegli anni si dice che anche il Cagliari – esatto, proprio il Cagliari – e il Napoli abbiano provato a portarlo in Italia, ma che tutto si sia arenato a causa delle regole che non permettevano acquisti da altre federazioni, nonostante Onnis fosse italiano di nascita e passaporto: nemmeno dopo l’apertura delle frontiere, 1980, arriverà il ritorno nel Paese natale. Come in Argentina, anche in Italia è sconosciuto, nonostante i gol, e forse ritenuto troppo vecchio per approfittare della pubblicità di un certo Michel Platini, che al suo arrivo a Torino rispose a chi gli chiedeva conto del non essere mai stato capocannoniere in Francia che era “impossibile competere con due mostri come Bianchi e Onnis”.
Delio non crede di essere mai stato vicino al Cagliari e al Napoli, ma ricorda di quella volta in cui Helenio Herrera andò a visionarlo a Bastia, anche se il destino, sempre il destino, quella volta non fu magnanimo come altre: problemi all’impianto elettrico, partita sospesa, HH il mago che sparisce e non si vede più da quelle parti. Come capita in amore può succedere che un giorno arrivi la fine in maniera brusca, così accade tra Onnis e il Monaco: dopo 7 anni Delio lascia, offeso dall’essere stato trattato da seconda scelta dal presidente Campora. Un litigio nato dal tentativo dei biancorossi di portare l’austriaco Krankl dell’Austria Vienna a guidare l’attacco al suo posto e, dopo che l’affare naufragò, tornare da Onnis con in mano un contratto di un solo anno.
Si sposta così al Tours prima e al Toulon poi: ogni stagione parte come quella del sicuro tramonto, è vecchio, non segnerà più come prima, ma lui continua a fare ciò che sa fare meglio, sentire il fiuto del gol e mettere il pallone in rete. A 36 anni, nel 1984, è ancora capocannoniere della Ligue 1, gioca fino a 38 e poi appende le scarpe al chiodo diventando Monsieur 300 buts, Signor 300 gol: altro caso del destino, perché di gol Onnis ne ha fatto appena uno in meno del suo soprannome, 299 in 449 gare nella Serie A francese, come a confermare il suo essere speciale, sempre a un passo dal successo completo senza mai raggiungerlo pienamente.
Restano però quei cinque titoli da capocannoniere, un campionato e una coppa di Francia in bacheca, la Scarpa d’Argento del 1975, la nazionale, anzi le nazionali mancate, Italia e soprattutto Argentina. Resta soprattutto l’amore illimitato della gente del Monaco, le parole di chi lo ha visto giocare come il secondo nella storia dei marcatori transalpini, Bernard Lacombe, che ne ha descritto perfettamente le caratteristiche da centravanti vero: “Su 299 gol penso ne abbia segnato 250 nei 16 metri. L’area era casa sua”. A Onnis piace paragonarsi a Trezeguet, da lui scoperto come osservatore a fine carriera, ma come predatore d’area che giocava sempre sul filo del fuorigioco, al posto giusto al momento giusto, in grado di segnare con qualsiasi parte del corpo non può che ricordare Pippo Inzaghi del quale è stato probabilmente il prototipo: sangue freddo in luoghi caldi come le aree di rigore, senza una tecnica elevata, ma con un senso del gol innato.
Pur rimastovi pochi anni, a Tolone Onnis è talmente importante da essere finito perfino in una guida turistica sulla Costa Azzurra, citato in mezzo a Tigana, Dalger e Ginola come uno dei personaggi importanti della zona. Ora vive nel Principato, anche se spesso fa la spola verso l’Argentina per andare a trovare la mamma e il fratello, con i quali parla in italiano così come facevano quando era bambino in quella casa di Palermo, Buenos Aires, con il padre che provava a insegnargli quel sardo da lui mai imparato perché, come da sua ammissione, ritenuto troppo difficile. Ha smesso di far parte del calcio da due anni, dopo qualche esperienza da allenatore – un anno al Toulon e tre al Paris FC, tra il ’92 e il ‘95 – e tante stagioni da osservatore di talenti sudamericani per il Monaco al quale ha regalato non solo Trezeguet, ma anche Marcelo Gallardo e avrebbe voluto portare anche Gonzalo Higuain, scartato e poi preso dal Real Madrid.
Una vita piena di avventure, tra due continenti, da Nurallao a Montecarlo, passando per Buenos Aires: ma Delio Onnis, sarà per sempre Monsieur 300 buts, ovvero il centravanti sconosciuto più conosciuto del mondo.
Matteo Zizola