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L'esultanza di Federico Melchiorri

Melchiorri: “A Cagliari ho lasciato il cuore, avrei voluto chiudere lì il mio percorso”

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In vista della sfida di sabato tra Inter e Cagliari, in programma alle 18:00, nell’ambito della rubrica “Quel giorno io c’ero” abbiamo intervistato Federico Melchiorri, ex centravanti rossoblù con 42 presenze e 13 gol. Melchiorri ha condiviso le sue impressioni sul match, i ricordi legati al suo periodo in Sardegna e lo speciale rapporto costruito con la tifoseria cagliaritana.

Federico, partiamo dalla gara del 16 ottobre 2016: era l’ottava giornata di campionato e quella sera il tuo Cagliari conquistò una prestigiosa vittoria per 2-1 a San Siro contro l’Inter, anche grazie a una tua prestazione maiuscola, impreziosita da un gol e dalla partecipazione decisiva all’azione che portò all’autogol di Handanovic per il raddoppio. Che ricordi hai di quella partita?
“I ricordi sono a dir poco fantastici e pieni di nostalgia. Quando un ragazzo segna un gol a San Siro, è come realizzare il sogno che aveva da bambino. È davvero il coronamento di un sogno. Nel momento stesso, sinceramente, non riesci nemmeno a renderti conto di ciò che sta accadendo, perché vieni completamente assorbito dalla partita e cerchi di rimanere concentrato. Solo alla fine, quando l’arbitro fischia, capisci davvero cosa è successo. Ti accorgi che hai vissuto qualcosa di incredibile”.

Come vedi il match di sabato tra Inter e Cagliari? Pensi che i rossoblù possano riuscire a fare punti in un campo così ostico come quello del Meazza?
“Il fatto che il Cagliari possa fare punti a San Siro è una possibilità concreta, e sinceramente non solo non lo escludo, ma lo auspico con convinzione. Riuscire a portare via uno, o magari addirittura tre punti da un campo così prestigioso, rappresenterebbe un passo importantissimo per completare la corsa salvezza che la squadra sta affrontando con grande determinazione e sacrificio. Naturalmente, pensare che possa essere semplice sarebbe poco realistico, perché l’Inter, in questo momento, viaggia a ritmi altissimi: è saldamente al comando della classifica e sta cercando con forza di chiudere il discorso Scudetto il prima possibile, senza dimenticare il percorso straordinario che sta portando avanti anche in Coppa, a conferma di una stagione fin qui praticamente impeccabile”.

Cosa pensi del Cagliari attuale e del campionato che sta disputando sotto la guida di Davide Nicola?
“Dare giudizi su un allenatore non è mai facile, e personalmente non mi sento assolutamente in grado di farlo. Tuttavia, posso dire che apprezzo molto il mister, sia per quello che ha fatto in passato che per ciò che sta facendo ora. Per questo motivo, ho solo parole positive nei suoi confronti. Il cammino del Cagliari finora è positivo e a mio avviso, l’obiettivo principale resta la salvezza. Con il pareggio di domenica, la squadra ha saputo tenere a distanza la zona pericolosa, e sta seguendo il percorso giusto. Certo, manca ancora qualche punto per poter essere più tranquilli, ma credo che al momento l’atmosfera all’interno della squadra sia comunque positiva e discreta”.

Da centravanti come giudichi il reparto offensivo del Cagliari?
“Il reparto offensivo sta disputando un buon campionato, anche se il numero di gol realizzati, soprattutto dagli attaccanti, non è altissimo. Tuttavia, non è indispensabile che una squadra abbia un attaccante che segna 15 gol o una coppia di punte che realizza un numero elevato di reti. Quando i gol sono distribuiti tra più giocatori, questo è un segno di equilibrio e solidità. Significa che la squadra lavora come un collettivo e sta affrontando la stagione nel modo giusto. Spesso, infatti, vediamo squadre che, pur avendo un capocannoniere o giocatori in grado di segnare 15-20 gol, non riescono a salvarsi, perché il gioco si concentra troppo su un singolo elemento, mentre il resto della squadra fatica, mentre il Cagliari, secondo me, ha saputo distribuire bene i gol e le responsabilità, e infatti i risultati finora sono più che soddisfacenti”.

Che ricordi hai della tua esperienza al Cagliari? Cosa ti ha lasciato questa piazza?
“Cagliari rappresenta per me il luogo più bello in cui sia mai stato. Lì ho lasciato una parte significativa del mio cuore. È stato il culmine della mia carriera, un contesto in cui avrei desiderato rimanere molto più a lungo e, se fosse stato possibile, concludere la mia carriera. Purtroppo, le circostanze ci hanno portato a separarci, e questo è stato motivo di grande rammarico. La città di Cagliari e la Sardegna nel loro complesso mi hanno conquistato profondamente. Mi sono innamorato del territorio e di tutto ciò che esso rappresenta”.

Com’era il tuo rapporto con la tifoseria del Cagliari?
“Un amore puro. Non ho mai visto, né vissuto, una tifoseria così appassionata, così attaccata e affettuosa. Ricordo ancora i momenti in cui mi applaudivano, l’affetto che ho ricevuto dopo l’infortunio e ancora di più dopo il secondo. Un amore genuino. Tutt’oggi, quando faccio qualche intervista o partecipo a programmi radiofonici in Sardegna o a Cagliari, continuo a ricevere commenti affettuosi, sia dai tifosi che sui social. È un affetto che ricambio con tutto il cuore”.

A proposito di applausi: che emozioni hai provato per quelli ricevuti dai tuoi ex tifosi quando il 5 agosto 2022, nella partita di Coppa Italia, hai segnato contro il Cagliari?
“Mi sono sempre lasciato in buoni rapporti con la piazza, quindi sinceramente non mi aspettavo fischi o insulti. Tuttavia, nemmeno immaginavo di ricevere un applauso così caloroso da parte di tutto lo stadio. Non avevo mai avuto contrasti con la tifoseria, quindi non temevo reazioni negative nei miei confronti, ma una risposta così sentita, unita a un’affetto così grande, mi ha davvero sorpreso. La commozione è stata tale che, al termine della partita, sono uscito dal campo con le lacrime agli occhi. Ho cercato con tutte le forze di tornare a giocare a Cagliari, perché per me sarebbe stato un sogno, ma purtroppo non c’è stata la possibilità”.

Ci racconti un aneddoto particolare del tuo periodo a Cagliari?
“I momenti trascorsi tra pranzi e cene di squadra erano davvero divertenti. Erano occasioni in cui non mancavano mai le risate, con qualcuno sempre pronto a farci divertire. C’era una tradizione che non mancava mai: far cantare i nuovi. Ogni volta, uno di loro doveva improvvisare, e le sorprese non finivano mai, con alcuni che si rivelavano cantanti nascosti, proprio quando meno te lo aspettavi. A queste scene si aggiungevano riprese e momenti di pura goliardia, tra risate e scherzi che coinvolgevano tutti. Sono senza dubbio ricordi preziosi”.

Nel tuo periodo al Cagliari hai giocato in squadra con Fabio Pisacane, cosa ne pensi di lui come uomo come giocatore e ora come allenatore?
“Con Fabio siamo arrivati nello stesso anno e, durante tutto il periodo in cui siamo stati insieme, abbiamo sempre avuto ottimi rapporti. È un ragazzo eccezionale, molto dedito alla causa, alla maglia e al Cagliari. Un giocatore di grande valore, che si è sempre impegnato al massimo, facendo ciò che era necessario nel miglior modo possibile. Ora, come allenatore, sta già dimostrando di avere le capacità per far bene. Ha ancora molta strada da fare, ma non è partito affatto male, portando già un trofeo a casa”.

Se guarda indietro alla sua carriera, come pensa che sarebbe andata senza i numerosi problemi fisici, come il cavernoma e gli infortuni alle ginocchia?
“Come sarebbe andata la mia carriera, sinceramente, non te lo so dire. Non ho certo la capacità di prevedere il futuro o di immaginare universi alternativi. Posso solo raccontarti come ho vissuto quelle situazioni. La mia forza, in quei momenti, è sempre stata quella di non abbattermi mai. Ho affrontato ogni ostacolo con la volontà e la rabbia di ripartire da dove avevo lasciato. Non mi sono mai arreso e, ogni volta, ho fatto di tutto per tornare in campo. Ovviamente, non sempre le cose vanno come speri: a volte ci riesci, altre volte l’età inizia a farsi sentire e il fisico non ti supporta più come una volta. Nel mio caso, purtroppo, le ginocchia hanno iniziato a pesare, soprattutto adesso, dopo il terzo infortunio”.

Che tipo di attaccante eri e a quali giocatori ti ispiravi durante la tua carriera?
“Ero un centravanti molto rapido: la velocità e il colpo di testa erano sicuramente le mie doti principali. Ma credo di essere stato anche uno di quegli attaccanti che non si limitano alla fase offensiva. Mi piaceva dare una mano dietro, rientrare, aiutare la squadra. Ero uno di quelli che correvano tanto, che pressavano continuamente, che cercavano di disturbare i difensori e non permettere loro di impostare con tranquillità. Non mi accontentavo di stare lì davanti ad aspettare la palla buona: volevo essere utile ovunque, dare un contributo più ampio ai compagni, anche senza segnare. Quando sei giovane hai tanti idoli, anche molto diversi da te. Crescendo, i nomi che ammiravo erano quelli di campioni come Baggio o Del Piero, anche se non avevo le loro stesse caratteristiche.
A volte mi dicevano che assomigliavo a Cavani, ma alla fine ho cercato di costruire il mio percorso, il mio stile, partendo dalle qualità che avevo. Non mi sono ispirato a un solo giocatore, ma ho cercato di prendere qualcosa un po’ da tutti, creando una mia identità in campo”.

Cosa c’è nel futuro di Federico Melchiorri?
“Sto ancora recuperando dal problema al ginocchio e, una volta conclusa la stagione, valuterò con calma se sarà arrivato il momento di dire basta oppure se ci sarà ancora l’opportunità di affrontare un altro campionato, magari anche due. Vedremo anche cosa proporranno le società, quali saranno le possibilità concrete. È una decisione che prenderò più avanti, quando avrò un quadro più chiaro di tutto”.

Matteo Cubadda

 

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