“Investire anche nel Sud per avere una situazione più adatta a un grande Paese ciclisticamente importante come l’Italia”. Questa una delle mission che tenterà di mettere in atto Silvio Martinello, uno dei candidati alla presidenza della Federazione Ciclistica Italiana.
Le elezioni di febbraio, che stabiliranno chi succederà al regno di oltre 15 anni di Di Rocco, vedranno l’ex professionista e commentatore tecnico tra i candidati principali: una grande esperienza raccolta sul campo con una carriera con la C maiuscola tra la strada (due tappe al Giro, una alla Vuelta, quattro giorni in maglia rosa in quello strano Giro partito dalla Grecia del 1996) e la pista (oro nella corsa a punti ad Atlanta) e da osservatore privilegiato svolgendo il commento tecnico per la RAI tra TV e Radio a partire dal 2003. Abbiamo fatto una bella chiacchierata con Silvio Martinello incentrandola sulle prospettive del movimento in Sardegna, chiudendo inevitabilmente con un parere su Fabio Aru, il ciclista più rappresentativo dell’isola.
Silvio, qual è secondo lei lo stato di salute del ciclismo in Sardegna e in generale nel sud dell’Italia? Come si potrebbero migliorare le cose?
Dal punto di vista giovanile è un ciclismo che sta lasciando un po’ il passo e c’è la necessità di intervenire con un serio piano per il Sud che provi a gettare delle fondamenta concrete e solide per poter iniziare a ricostruire sia dal punto di vista delle società che quello della promozione per la bicicletta e riuscire a coinvolgere i giovani in un modo sempre maggiore. Il tutto farlo con continuità, perché nel momento in cui ragazzi e ragazze usciranno dalla società giovanile ed entrano nelle categoria Juniores e Under 23 si dovranno creare delle basi per poter evitare che possano emigrare in un’altra regione con tutto quello che comporta, allontanarsi dalle famiglie e magari abbandonare anche la scuola. Questo è un problema che il nostro movimento ha da tempo, ci sono state delle politiche ed efficaci in alcune politiche come quella attuata da Cerutti tanti anni fa, che portò risultati interessanti che dopo qualche stagione si potevano toccare con mano. Una politica per il sud non è più stata fatta e questo è il risultato in cui ci troviamo, dove si sono addirittura chiusi dei comitati regionali perché non c’era un numero sufficiente di società: per esempio nel Molise quel poco di attività che c’era è andata praticamente persa. I comitati regionali devono continuare ad essere dei punti di riferimento e poi investire in programmi, ma non si parli di assistenzialismo. Significa investire risorse da utilizzare in maniera efficace e con il tempo si potrebbe avere nel sud una situazione più adatta a un grande Paese ciclisticamente importante come l’Italia. Questo fa parte del mio programma elettorale, quest’attenzione al Sud: se pensiamo all’ultima nazionale maggiore vista ai mondiali di Imola la maggioranza degli atleti schierati nella prova in linea erano del sud (Nibali, Visconti, Caruso per esempio) che sono stati costretti ad emigrare da giovani in Toscana o in Lombardia per fare un’attività di livello. Bisogna dare delle opportunità anche ai giovani del sud affinché possano sviluppare la propria passione anche nel loro territorio di appartenenza. Questo è il grande problema a cui dobbiamo pensare.
Sicuramente avrà a cuore l’argomento velodromi, pochi e alcuni disastrati nel territorio nazionale: per esempio in Sardegna c’è la struttura di Quartu Sant’Elena…
Questi impianti molti li ritengono anacronistici, ma sono di primaria importanza perché è vero che l’attività internazionale si svolge in impianti coperti e piste da 250 metri, ma queste strutture più vecchie e in alcuni casi antiche vanno rimesse in funzione per il bene del movimento. Va riaperto il dialogo con le amministrazioni e sensibilizzarle anche indicando come poter fruire dei fondi specifici, sono impianti fondamentali per i nostri giovani perché il ciclismo ha anche un grande problema, quello della sicurezza. Abbiamo la necessità di dare l’opportunità ai nostri giovani di pedalare su impianti sicuri. Nel sud per esempio ha avuto un grande sviluppo il fuoristrada, sicuramente un’attività più sicura rispetto alla strada, ed ecco che è necessario secondo me riattivare questi velodromi, per esempio come quello di Quartu Sant’Elena che tra l’altro conosco bene perché ho avuto l’opportunità di gareggiarci anche io. Non conosco bene la situazione nello specifico, ma se ci fosse la necessità di intervenire ci si potrebbe sedere al tavolo con l’amministrazione affinché possa ripartire e creare delle condizioni in modo da offrire dei servizi, mettendo un tecnico, un preparatore, un meccanico, facendo arrivare materiale in modo da poter accogliere i giovani della zona e il territorio. Tutto questo va affrontato con grande attenzione e sono questi i passaggi che proveremo a fare. In tutta Italia non arrivano più contributi per i centri della pista, è evidente che questa politica della federazione aveva la necessità di tagliare i costi in questi 16 anni per questioni di bilancio, ma in realtà questi non sono costi ma investimenti. Ad alto livello nonostante questa situazione disastrosa di base, riusciamo ad ottenere ottimi risultati in campo maschile e femminile in pista, ma se fossimo strutturati alla base con i velodromi del nostro territorio saremmo ancora più forti e ci sarebbe anche un ricambio generazionale che è necessario avere. Non sfruttiamo al massimo questo potenziale, ma questi impianti possono davvero svezzare i giovani, poi ovviamente una volta vista una certa predisposizione nel ragazzo o nella ragazza, si è pronti a fare il salto di qualità e cimentarsi in impianti più moderni e internazionali. Ma prima i ragazzi vanno fatti crescere.
La Sardegna, a nostro modo di vedere, potrebbe avere buone opportunità ospitando per esempio i ritiri pre-stagionali e col cicloturismo, che ne pensa?
Senz’altro si potrebbe creare un progetto sensibilizzando le amministrazioni locali e creare quelle condizioni necessarie in Sardegna o anche in Sicilia, affinché si possano creare delle sedi per i ritiri invernali delle squadre così come lo era un tempo la riviera ligure. Ci sono quelle particolari condizioni climatiche diverse a quelle del Nord che non hanno nulla da invidiare a quello che si fa nel Sud della Spagna o nelle sue isole: questo pensando sia alle formazioni professionistiche e semi-professionistiche, ma di conseguenza anche alla cultura ciclistica. Una volta che arrivano i campioni della specialità nel territorio anche l’appassionato può decidere di passare qui un periodo con temperature migliori. Sono tutte cose che dovrebbero guardare con attenzione le amministrazioni locali, tutto questo può portare della ricchezza per la zona.
Tutti speriamo nel ritorno del Giro di Sardegna che purtroppo non si svolge da qualche anno: l’anno scorso ci siamo andati molto vicini e nel 2021 si fatica a trovare una collocazione, forse lo vedremo a fine stagione e non all’inizio come era tradizione…
Il calendario è complesso e non è facile trovare la collocazione, però è importante che ci sia la volontà di tornare e che si prenda coscienza il fatto che ci sia un apporto dei media e della televisione per la promozione del territorio. Anche questo è un tema molto sentito e caldo perché in Italia a parte il rapporto privilegiato tra RCS e RAI, ci deve essere un dialogo efficiente con tutti gli altri organizzatori che hanno comunque la necessità di avere al loro fianco la televisione. Un ragionamento costruttivo finora fatto solo in parte, ma bisogna dare spazio anche a tutte le altre prove non organizzate dalla RCS. Nel momento in cui ci saranno queste condizioni ci si potrà sedere al tavolo con gli amministratori con più forza. Il ciclismo è un grande veicolo di promozione e vale la pena sfruttarlo e questo è un discorso fondamentale per una zona come la Sardegna che fa del turismo una delle sue principali industrie.
In chiusura, non posso non chiederle un parere su Fabio Aru. Cosa pensa della sua scelta di ripartire dalla Qhubeka-ASSOS?
Premettendo che non conosco tutti i dettagli, penso che se l’abbia scelto lo considera come l’ambiente ideale per rilanciarsi. Fabio deve capire cosa non funziona in se stesso prima di pensare di porsi degli obiettivi. Penso sia necessario recuperare la consapevolezza dei propri mezzi, non conosco perché l’abbia un po’ persa ma è difficile capirlo da osservatori esterni. Per quello che ho potuto vedere, chiaramente Aru nei tre anni alla UAE non si è trovato in una situazione in cui sembrava farci vedere il Fabio Aru degli anni passati. Ora l’importante è ritrovare se stesso, nel momento in cui capirà questo e troverà un ambiente ideale e con le giuste attenzioni che merita, credo e mi auguro che ci sia la possibilità di vedere quell’atleta che avevamo conosciuto. Me lo auguro per lui e per i suoi tifosi, ma anche per il movimento in generale.
Matteo Porcu