Una riflessione sulla stagione del Cagliari, partito con l’idea di festeggiare al meglio i primi 100 anni di storia e finito nel solito, deludente modo.
“Daiiiii, daiiiiiiiii”. Due urlacci facilmente distinguibili all’interno del silenzio (o quasi) della Sardegna Arena aperta soltanto agli addetti ai lavori, durante uno dei tanti tentativi di fare male dalle parti di Musso. Urlacci, però, che non arrivavano dalla panchina, bensì dalla tribuna e, più precisamente, dalla poltroncina occupata dal patron rossoblù Tommaso Giulini. Segno inequivocabile di una delusione che è stata successivamente mostrata coram populo dalle telecamere di Dazn, che lo hanno immortalato a fumare nervosamente mentre i suoi ragazzi non riuscivano a cavare il proverbiale ragno dal buco. Impossibile sapere cosa stesse pensando il numero uno del Cagliari in quel momento, ma è facile ipotizzarlo, soprattutto dopo la conferma arrivata da parte di Zenga durante la conferenza stampa pre-Juventus (con tanto di ritiro): “Il presidente ha tutte le ragioni per essere arrabbiato – ha detto il tecnico milanese – è sacrosanto quando i risultati non arrivano, e deve capire quello che è giusto fare”. Una frase che appare più che condivisibile, quella di Zenga. Ma è facile dare una risposta?
#Cagliar100, cronaca di una stagione disgraziata
D’altronde, se è facile capire la delusione della tifoseria cagliaritana, illusa dalla stupefacente prima parte di stagione e tremendamente delusa da un girone di ritorno da Serie B, lo è ancor di più immaginare quella di Giulini. Che, va ricordato, la scorsa estate ha investito sul mercato oltre 42 milioni di euro incassandone circa 18, con un bilancio negativo di 24,6 milioni ma soprattutto portando in Sardegna calciatori del calibro di Nandez, Rog e Simeone, senza dimenticare il grande ritorno – in prestito secco – di Radja Nainggolan dall’Inter, squadra prescelta per la cessione del gioiello Nicolò Barella. Insomma, non proprio spiccioli. Eppure, anche quest’anno, la maledizione del finale di stagione si è abbattuta sui colori rossoblù, pur con tutte le (ovvie) attenuanti del caso. I freddi numeri, però, parlano chiaro: 14° posto in classifica, un rendimento da retrocessione, una squadra arrivata stanca e priva di alcuni elementi cardine – Nainggolan e Pellegrini su tutti –, senza dimenticare i vari “casi” (appare superfluo ricordarli tutti) che hanno avvelenato il clima intorno a Ceppitelli e compagni. Una situazione tutt’altro che idilliaca e che cozza fortemente con le aspettative di agosto 2019, quando è iniziata la famigerata – sì, ormai possiamo dirlo – Stagione del Centenario. Su queste pagine abbiamo già dibattuto di colpe e responsabilità di un fallimento totalmente inaspettato, quindi non è il caso di ritornarci. Ma sovviene spontaneo un altro quesito: cosa farà l’anno prossimo Tommaso Giulini? Una domanda che sembra avere una risposta scontata, ovvero “il proprietario del Cagliari Calcio”. Risposta corretta, 7+. Eppure….
Da Moratti a Cellino, uno smart working sui generis
Eppure, a ruota, è un’altra la domanda che sorge spontanea (cit. Antonio Lubrano): e se Giulini, dopo l’ennesimo sangue amaro prodotto da una stagione non in linea con le aspettative originarie – con l’aggravante delle tante spese sostenute – si stufasse di questa situazione di mediocrità? Il che NON vuol dire, beninteso, che abbia voglia o che debba passare la mano. O meglio, non necessariamente. Ma se, invece, decidesse di “cambiare approccio” al modo di fare il presidente, chi si potrebbe davvero stupire? Magari con una sorta di smart working sui generis, passando da una gestione morattiana, con il patron a fare da mecenate finanziando la società con il proprio patrimonio personale, a una più celliniana – non ce ne vogliano i tifosi dell’una o dell’altra fazione, ma è possibile fare paragoni in base alla storia – dove il club si autosostiene in base al rapporto tra entrate e uscite? D’altronde, volendo azzardare un paragone automobilistico, spendere un sacco di soldi per una bella fuoriserie che poi, però, ti abbandona sul più bello mostrando di non essere affidabile, non fa piacere a nessuno. Ancor di più quando la spesa è quantificabile in milioni di euro. Con la campagna acquisti 2019-20 il patron rossoblù ha certamente dimostrato di non voler lesinare né impegno, né disponibilità a spendere. Perché sennò non ci sarebbero stati i vari progetti paralleli alla gestione del Cagliari, come la scommessa Olbia o, altro tema molto delicato, quello relativo al nuovo Sant’Elia. Un altro fronte, peraltro, in cui i ritardi (se non addirittura immobilismo) di chi “ha il potere di fare” rischiano di rendere ulteriormente fioca la fiammella della passione di Giulini, che fin da subito ha cercato di risolvere il problema stadio arrivando a ri-costruire un impianto provvisorio in grado di fungere da casa al suo Cagliari. Ma evidentemente – lo dicono i fatti – tutto questo non è sufficiente per garantire una vera crescita del club in stile Atalanta, da tanti utilizzata come metro di un paragone che, per strutture (o sovrastrutture e logiche, soprattutto intrinseche e ambientali) non è utilizzabile. Della serie: la buona volontà non basta.
Dall’aragosta al brodino di pollo
Insomma, aleggiano dubbi sul prossimo allenatore, sulle vere e reali responsabilità di una stagione sostanzialmente fallimentare e su un ambiente (a tutto tondo) meno unito e concorde di come in tanti – anche chi scrive, mea culpa – forse abbiamo frettolosamente considerato, quando tutto sul campo girava a meraviglia. Interrogativi che rendono ancora più nebuloso il futuro di questo Cagliari, a partire dal campo passando per il mercato e la questione stadio, (che peraltro renderebbe complessa un’eventuale qualificazione europea, tra difficili deroghe alla Sardegna Arena e l’ipotesi peninsulare). Intanto nelle ultime due partite, contro Juventus e Milan Walter Zenga si gioca le (ben poche) speranze di restare sulla panchina rossoblù, inseguendo la chimera del record di punti in Serie A dell’era Giulini. Chissà, magari due belle prestazioni condite da un risultato positivo potrebbero far cambiare umore al patron, che a inizio anno aveva fatto la bocca all’aragosta e che invece, dopo mesi di sofferenza, è tornato a dover fare i conti con il solito brodino di pollo, oggi più che mai indigesto.
Francesco Aresu