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Varsi: “Sardi senza competenze? Sciocchezze!”

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La notizia è fresca: “Occupazione, Oristano prima in Italia” (La Nuova Sardegna del 14 marzo).

Fa sicuramente scalpore, vista la tendenza negativa e generale negli ultimi anni dell’intera Isola. I dati parlano chiaro, nel 2018 un +5,2 punti percentuali per la provincia di Oristano, trascinatrice per la Sardegna che rimane indietro con un ragguardevole +2,3%, essendo comunque la regione con la crescita maggiore all’interno del Mezzogiorno, dove viene inserita dalla ricerca in questione.

“Sono venuto a conoscenza dei dati attraverso la stampa”, spiega Emanuele Varsi, responsabile acquisti della IVI Petrolifera, una delle realtà economiche più importanti della Sardegna, con sede a Santa Giusta. “Devo ammettere che sono rimasto felicemente sorpreso – dice Varsi –. Non è frequente che la Sardegna, ed in particolare la provincia di Oristano, riesca ad entrare agli onori della cronaca per risultati così singolari in ambito di occupazione e lavoro”.

C’è qualche fattore positivo particolare in questo territorio a determinate tale dato?
“Devo precisare che il dato è particolarmente eccezionale. Stando alle elaborazioni ISTAT, la Provincia di Oristano ha avuto a partire dal 2013 un progressivo aumento del tasso di occupazione, con il picco raggiunto nel 2016 al 52%. Questo poi è sceso nel 2017 al 48% e nuovamente risalito con forza nel 2018 al 53,2%, massimo risultato raggiunto in tutta la serie storica a partire dal 2004. Tutto questo per dire che è difficile determinare una ragione univoca ad un dato così variabile; certamente è rassicurante osservare l’andamento positivo a partire dal 2013”.

L’andamento del tasso di disoccupazione nella Provincia di Oristano

IVI Petrolifera e la 3A di Arborea sono le due realtà più importanti nella provincia, oltre che due delle più rilevanti in Sardegna. C’è qualcosa che vi accomuna, nonostante viviate mercati nettamente differenti?
“Gran parte del loro successo è dovuto alle sinergie che hanno saputo generare tra gli operatori della filiera ed alla forte spinta tecnologica alla quale si sono dedicati negli ultimi anni. Penso che lo sviluppo dei punti di forza del territorio, uniti all’utilizzo delle tecnologie più moderne siano necessariamente i capisaldi di un nuovo sviluppo industriale, ed è attraverso questi due fattori che si muove anche la IVI Petrolifera”.

La 3A cerca fette di mercato in Oriente, voi investite costantemente sulle bonifiche. Il segreto è quindi la diversificazione?
“Il mondo industriale e della trasformazione sta cambiando velocemente ed in maniera profonda. Dal punto di vista del settore alimentare il fenomeno più evidente è rappresentato dalla necessità di individuare mercati di sbocco alternativi, in quanto il mercato interno non è più sufficiente a sostenere un’offerta che sia sostenibile in termini di prezzo e qualità. Nel settore energetico il fenomeno più rilevante è, invece, quello della “transizione” ovvero il processo di sostituzione delle fonti energetiche tradizionali con fonti bio-sostenibili, con conseguente dismissione delle infrastrutture obsolete. Sono due tipi di diversificazione differenti ma che rappresentano la necessità di cambiamento che accomuna i due settori”.

Come pensa si possa applicare all’interno di un’economia fatta di piccole realtà, come quella sarda?
“In primo luogo, non amo riferirmi alla realtà sarda come “piccola”. Certamente la Sardegna soffre di gap infrastrutturali legati alle caratteristiche morfologie di essere un’isola, ma vedo che le imprese più importanti del panorama regionale si sono distinte proprio per la loro capacità di agire secondo una logica “Glocal”, sfruttando le caratteristiche peculiari del territorio sardo per offrire valore aggiunto ad un mercato più esteso rispetto al solo ambito regionale”.

Qual è il suo consiglio?
“Puntare sulla tecnologia e sullo sviluppo di filiere più coordinate. Si pensi a quello che sta accadendo nel settore lattiero-caseario: trovo emblematico che in tanti anni di sviluppo ancora non si sia riusciti ad individuare modalità di coordinamento tra i diversi attori della filiera produttiva che possano evitare il ripetersi a scadenza ciclica delle stesse medesime inefficienze”.

Si parla spesso di giovani sardi poco qualificati, oppure con “poca voglia” di mettersi alla prova e di rendersi appetibili nel mondo del lavoro: c’è del vero o sono considerazioni qualunquiste?
“Perdonatemi se sono diretto: è una sciocchezza. I giovani oggi sono estremamente formati e competenti. Stiamo uscendo da un periodo di crisi economica e sociale che ha falcidiato una intera generazione, ma sono convinto che il fenomeno stia per arrivare al suo culmine. Mi aspetto, e mi auguro, nel prossimo futuro un mondo guidato da personalità giovani e ottimiste.

Di cosa ha bisogno il mondo produttivo sardo per risultare competitivo, in generale e in particolare nel vostro settore?
“Nel nostro caso particolare vedo grande inerzia per quanto concerne le autorizzazioni. La maggior parte degli enti pubblici preposti all’analisi ed al controllo dei nuovi progetti non ha alcun incentivo a promuovere le proposte che gli vengono presentate e nella maggior parte dei casi hanno, al contrario, grandi responsabilità nel caso qualcosa andasse male. In questo modo ho paura che il sistema si incancrenisca e diventi sempre più difficile rendere operativa qualunque novità”.

C’è spazio per uscire dalla dicotomia “petrolieri vs ambientalismo”? Come si possono conciliare competitività sul mercato, innovazione e salvaguardia dell’ambiente?
“Tutto il comparto petrolifero sta investendo ingenti risorse per minimizzare gli effetti inquinanti dell’industria petrolchimica. Non siamo ancora arrivati al punto in cui si potrà fare a meno del petrolio e dei suoi derivati, soprattutto se si tiene conto del costante aumento, a livello globale, della domanda di energia. Ma il paradigma è cambiato. Mi ha entusiasmato, ad esempio, l’opinione di Andrea Illy nel suo ultimo libro “Italia Felix” nel quale definisce l’inquinamento degli ultimi 100 anni un “incidente di percorso”; come lui sono convinto che stia per nascere (e in alcuni ambiti è già una realtà consolidata) una “Health Age” attraverso la quale il genere umano non solo rimedierà ai danni procurati ma ne creerà anche un business, con conseguenti posti di lavoro e reddito, dimostrando di essere la specie più evoluta del pianeta terra”.

Enrico Mura