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Hermaea, Blasi: “Sogno la A1 e l’Italia con Velasco. Mio padre? Lo porto sempre con me”

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Due anni in Sardegna con la maglia dell’Hermaea Olbia, con in mezzo il premio per il miglior libero della stagione 2023-24 in Serie A2 e, lo scorso febbraio, la chiamata del commissario tecnico dell’Italvolley femminile Julio Velasco per uno stage con la maglia azzurra. Sophie Andrea Blasi ha solo poco più di 22 anni, ma la sua vita è già ricchissima di avvenimenti da ricordare. Il libero della squadra gallurese si è raccontata ai nostri microfoni in una chiacchierata a tutto tondo, in cui abbiamo spaziato dal campo alla vita privata, con un toccante ricordo del padre Andrea, per tutti “Micio“, ex playmaker di Olimpia Milano, Fortitudo Bologna e Dinamo Sassari, tra le altre, tragicamente scomparso il 29 ottobre 2002, 48 giorni prima che sua moglie Veronique desse alla luce Sophie.

Sophie, proviamo a fare un bilancio della stagione che sta per concludersi, la tua seconda con la maglia dell’Hermaea. 
“Credo sia andata molto bene. Abbiamo trovato il nostro gioco poco dopo l’inizio del campionato, ma è comprensibile dato che eravamo quasi tutte nuove rispetto all’anno scorso. Siamo rimaste in corsa per l’ingresso nella poule promozione fino alla penultima partita, ma non ce l’abbiamo fatta e abbiamo dovuto cimentarci nella poule salvezza, ma siamo contente del percorso fatto. Abbiamo avuto sicuramente un po’ di alti e bassi durante la stagione, ma ci sta. Al momento siamo seconde nella poule e puntiamo a fare bene: anche se siamo già salve da un paio di partite il nostro obiettivo comunque è quello di continuare a lavorare per dare il massimo anche nelle ultime due. Per me era la seconda stagione a Olbia e sono molto contenta di essere rimasta: il legame affettivo con il club sicuramente è stato determinante nella mia scelta. Mi sono trovata benissimo con tutti, in primis con la società, lo staff, le compagne che ho avuto e poi con la gente della Sardegna che è davvero molto accogliente”.

Il gruppo guidato da coach Dino Guadalupi ha un’età media molto bassa. Cosa hai trovato di particolare in Sardegna a differenza delle tue precedenti esperienze?
“Credo che il gruppo sia di quest’anno che dell’anno scorso sia stato davvero super: non è scontato trovare altre 12 o 13 ragazze con cui andare d’accordo e ti trovi bene, perché essendo in tante è normale che ci siano sempre un po’ di gruppetti o si sviluppino delle simpatie maggiori con qualcuna rispetto che con altre. Ma in questi due anni credo che siamo state molto unite. Non c’erano e non ci sono stati mai particolari scontri o divergenze, e anche quello poi fa la differenza in campo. Siamo molto affiatate e si è visto. Sicuramente è un grande pregio che non mi è capitato di trovare spesso nelle altre stagioni”.

Parliamo del ruolo di libero: non hai iniziato in quella posizione, ma come schiacciatrice. Come mai hai deciso di cambiare?
“È vero, ho iniziato come schiacciatrice e successivamente da libero: sono sincera, è un ruolo che non mi è mai piaciuto. L’ho fatto un anno in Nazionale perché per la maglia dell’Italia si fa tutto. Ho maturato questa scelta pochi anni fa, dato che questo è il terzo anno che gioco in quella posizione e da lì ho un po’ iniziato a rivalutarlo. A questo va aggiunto il fatto che non essendo molto alta, come schiacciatrice ad alti livelli avrei fatto più fatica. Perciò ho preso consapevolezza che se avessi voluto fare della pallavolo la mia vita e quindi arrivare a giocare in alto avrei dovuto adeguarmi. Cambiare ruolo sarebbe stato anche un’opportunità per me per arrivare a giocare in Serie A1, per questo ho deciso di cambiare. Ci sono delle differenze perché in seconda linea cambiano le responsabilità, dato che prendi più campo. In più è un ruolo che non ti dà la possibilità di sfogarti perché non fai mai punto, quindi se faccio un errore devi essere brava a mettere da parte l’errore velocemente, per poi pensare subito alla palla successiva. Questa è la differenza maggiore”.

Nonostante sia un ruolo che non ti piace, l’anno scorso hai vinto il premio di miglior libero della Serie A2…
“È andata molto molto bene (ride, ndr), grazie anche alla società che mi ha dato fiducia dato che la stagione precedente non avevo giocato tanto. Non è scontato prendere qualcuno per giocare tutto l’anno in un ruolo nuovo, specie in un campionato di serie A. Io ci ho messo del mio, però il lavoro che ha fatto lo staff con me in questi due anni è stato importante perché mi ha permesso di crescere molto, anche da un anno all’altro. Senza qualcuno dietro che ti aiuta, che ti dà una mano, è difficile crescere”.

A febbraio è arrivata la convocazione dal Ct olimpico Julio Velasco per uno stage a Bologna con altre protagoniste della Serie A2. Cosa ti ha lasciato quell’allenamento e com’è stato?
“È stato fantastico, come pure molto inaspettato. Ho appreso la notizia dopo essere tornata a casa dopo un allenamento: il mio procuratore mi ha inviato la convocazione, io non ci volevo credere poi effettivamente era tutto vero. È andata bene, Velasco non ha bisogno certo di presentazioni perché già solo il suo nome dice tutto. È stata davvero una bella soddisfazione. Lui ci ha dato tanti consigli nuovi, che non avevamo ancora mai sentito. Ha una visione diversa da ciò che senti nel club e ti dà quello spunto in più che ti fa fare quel salto di qualità. La cosa che mi è piaciuta di più in assoluto è avvenuta dopo la colazione. Ci ha riunito tutte in hotel e, oltre a spiegarci cosa avremmo fatto in allenamento, ci ha tenuto a ribadire una cosa che a lui preme molto: ci può stare l’errore, perché nessuno è perfetto, ma non serve piangersi addosso se si sbaglia qualcosa. È una cosa normale, l’importante è metterlo da parte pensando alla palla successiva per andare avanti”.

Restiamo su Velasco, quanto ha inciso la sua figura per fare il salto ulteriore al movimento del volley femminile?
“ Credo sia stato determinante. Senza di lui non so se effettivamente l’Italia femminile avrebbe potuto vincere l’oro olimpico a Parigi. Oltre al valore sportivo, credo che anche a livello umano sia stato in grado di dare una svolta all’interno dello spogliatoio azzurro. Più volte ha detto che una fuori dal campo può anche odiare la compagna, però in campo si gioca tutti verso l’unico obiettivo ed eventuali problemi passano in secondo piano. Credo che lui sia stato molto importante per fare quel salto di qualità che ha permesso di alzare interiormente l’asticella che poi ha portato la pallavolo femminile a vincere quell’oro. A livello umano lui è di un’altra categoria, è stato in grado di dare quel senso di unità che forse negli ultimi anni si era persa all’interno del gruppo”.

Apriamo la parentesi più personale dell’intervista, parlando di tuo padre Andrea. Quanto ha inciso la sua figura nella tua crescita personale e sportiva?
“Sicuramente all’inizio è stato difficile, perché quando uno è piccolo ancora non è completamente consapevole di quello che gli succede intorno. Non avendolo mai conosciuto mi baso su quello che mi racconta mia mamma o i suoi amici che hanno giocato con lui a basket, i giornalisti che lo conoscevano, i tifosi. Attraverso le loro loro testimonianze, le foto a casa, gli articoli che mi vado a leggere ogni tanto, mi sento di conoscerlo ancora un po’ di più. Onestamente il cognome non mi pesa, anzi lo porto con orgoglio così come il mio secondo nome. Fu mamma Veronique a decidere di aggiungere Andrea e io ne sono contenta, perché in molte cose che lui faceva mi ci rivedo.Tutti mi dicono quanto gli piacesse lavorare in palestra, quanto fosse determinato a lavorare più di tutti perché anche lui, quando giocava a basket, non era altissimo e come me ha dovuto fare il doppio rispetto magari a chi aveva un po’ più di fisico. E anch’io sono così: sono determinata al mille per mille, mi piace lavorare sodo, ho fatto tanti sacrifici da quando ho iniziato a giocare perché comunque sono andata via da casa a undici anni, facendo diversi sacrifici. Per me lui rimane un esempio e sarà sempre così. Poi ovviamente ci sono i giorni in cui sono un po’ più malinconica, però con mia mamma ci facciamo un po’ di forza a vicenda quando capitano. Ho ereditato diversi aspetti del suo carattere, ho certamente preso tanto da lui”.

Porti anche il numero di tuo padre, ovvero il 7. Quanto ti è pesata la sorta di “sovrapposizione mediatica” ricevuta fin da bambina, in quanto “la figlia di Andrea Blasi”?
“Pesato assolutamente no, anzi parlo molto volentieri di mio padre e della sua storia, mi fa piacere quando mi chiedono di lui. Nelle interviste la domanda c’è sempre, come è giusto che sia anche è stato uno sportivo professionista. Ha giocato a Bologna ed è stato un idolo dei tifosi della Fossa dei Leoni, quindi è normale che la domanda ci sia perché è un’occasione per ricordarlo”

Perché da bambina hai scelto il volley e non la pallacanestro?
“Non lo so (ride, ndr). Ho fatto sempre tanti sport da piccola, ma mai la pallacanestro. Dopo averne provati diversi mi sono convinta e ho detto a mia mamma che volevo giocare a pallavolo. Il basket lo guardo soltanto. Mi piace molto, sono molto tifosa della Fortitudo: mi piace andare a vederla al palazzetto, poi i tifosi della Fossa sono tantissimi e fanno tanto casino. È bello vedere la Effe dal vivo, sia perché mi piace lo sport sia perché papà ci ha giocato. Giocando ogni domenica non è semplice riuscire a essere presente, però quando torno a casa vado sempre al PalaDozza. Spero che possa tornare in A1, vediamo come andrà questo finale di stagione”.

Che rapporto hai con tua mamma Veronique?
“Abbiamo un rapporto speciale, siamo come migliori amiche. Le racconto tutto, in tutta onestà, senza nasconderle niente. anzi. Mi dà sempre consigli, se ho bisogno chiedo prima a lei che magari a una mia amica. Ci vediamo sempre, mi viene spesso a trovare e stiamo sempre insieme. E lo stesso accade quando torno a casa a Bologna. Lei per me è speciale”.

Torniamo alla pallavolo. C’è un libero a cui ti ispiri?
“Sicuramente Monica De Gennaro, il libero di Conegliano, della Nazionale e la migliore del mondo. In futuro spero di diventare come lei. Non l’ho mai conosciuta ancora di persona, speriamo di farlo presto”.

Quanto l’oro olimpico di Parigi e il rendimento delle squadre italiane contribuiscono a sdoganare a livello mediatico il volley femminile?
“Credo che negli ultimi anni la pallavolo femminile sia diventata uno sport molto seguito, a differenza della maschile che è sempre stata abbastanza seguita. Negli ultimi anni il pubblico sia aumentato e sicuramente anche la vittoria alle Olimpiadi ha aiutato molto. Lega e federazione ultimamente promuovono varie iniziative per incentivare le persone a guardare anche il volley femminile non solo a casa ma pure nei palazzetti e questo si vede. Anche noi da quest’anno siamo ufficialmente professioniste, e sicuramente è un traguardo molto importante per il movimento. Credo che anche nei prossimi anni in futuro si possa continuare su questa strada. Speriamo bene. Noi faremo il possibile”.

Bologna vuol dire Emilia: quindi buona cucina, ma pure motori. Tua madre conduce una trasmissione sulla Formula 1, un’altra delle tue passioni, come la comunicazione.
“Sì, mia mamma conduce un programma di Formula 1 su E’Tv, una televisione locale con sede a Bologna. Il suo è un po’ il lavoro che vorrei fare dopo la pallavolo. Sappiamo bene come la nostra regione sia la patria dei motori e, nello specifico, della Ferrari. Che quest’anno non è partita benissimo, ma speriamo che possa cambiare rotta e andare meglio. Questo è uno sport che mi appassiona molto, anche grazie all’influenza di mia madre e a tanti dei suoi ospiti, che mi spiegano varie cose nel dettaglio e mi permettono di seguirlo al meglio. Io al volante? Mi piace guidare, un giorno però chiederò di fare un test, magari però prima da passeggera (ride ndr). Il settore della comunicazione è quello che mi piace di più, questa è stata la mia prima scelta dopo il liceo. Mi sono laureata da poco, la scelta è stata guidata e ispirata da mia madre. Vedremo cosa succederà in futuro”

Ultime due domande: la Nazionale è più un sogno o un obiettivo raggiungibile?
“È un obiettivo raggiungibile, magari non nel breve termine. Due anni fa era un sogno, ora è un traguardo un po’ più concreto, chissà magari tra qualche anno alle Olimpiadi (ride, ndr)”.

Tra cinque anni come e dove ti immagini?
“Domanda difficilissima. Direi in Serie A1, mentre per quanto riguarda la Nazionale non voglio sbilanciarmi, ma vedremo. Anche perché in Serie A1 ci sono tante atlete a disposizione del ct e non è semplice. Però l’obiettivo è giocare in Serie A1, poi chissà cosa riserverà il futuro…”

Francesco Aresu

TAG:  Volley
 
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