Cosa fanno un gruppo di giovani studenti del Liceo Azuni di Sassari in un campetto da basket e con un pallone da calcio? Fondano la Dinamo. E in effetti la storia dei colori biancoblù è nata così, per caso. Dalla voglia di giocare, condividere le emozioni che regala lo sport, dalla volontà di creare un progetto per riunire quanti più amici possibile. Chi l’avrebbe mai detto che 64 anni dopo quel 23 aprile del 1960 la Dinamo avrebbe avuto in bacheca trofei prestigiosi come lo Scudetto, la Coppa Italia o la Europe Cup? In occasione del compleanno della società sassarese, ai nostri microfoni è intervenuto Rosario Cecaro, giornalista, professore universitario e uno dei fondatori della Dinamo.
23 aprile 1960, nasce la Dinamo Sassari. Lei professor Cecaro è stato uno dei fondatori della società biancoblù, come è nato tutto?
“È nato tutto un po’ per caso. Con i miei amici e compagni di classe della 4ª E del Liceo Azuni, un pomeriggio, non sapevamo cosa fare e siamo andati al campetto della scuola di San Giuseppe. Al tempo c’erano i canestri e noi avevamo un pallone da calcio, nemmeno da pallacanestro, ma ci siamo messi comunque a giocare a basket. Da lì uno di noi, Pietro Baraccani, che era il più portato all’organizzazione, propose di portare avanti un progetto più strutturato e schematizzato. E così è iniziata la storia della Dinamo”.
Perché Dinamo?
”L’idea è stata di Pietro Baraccani. Noi eravamo giovani liceali che studiavano il greco. Al nostro amico, collega e primo segretario della Dinamo, venne l’idea di dare a questa società un nome poco tradizionale, derivante magari dalla cultura ellenica. Abbiamo scelto Dinamo, dal greco Dynamis, che vuol dire forza. La proposta fu subito accettata da tutti però all’esterno questa scelta non venne vista tanto bene, si pensò che questo nome fosse riferito ai paesi dell’Est. Nessuno di noi, però, pensò a questo significato prettamente politico. Noi abbiamo accettato le critiche, ne abbiamo preso atto, ma il nome ci piaceva tanto e lo difendemmo con forza contro chi ce lo voleva far cambiare”
Creare una società non è mai semplice, specie quando si è ragazzini come lo eravate voi. Come sono stati i primi anni, quelli che hanno di fatto dato il La alla Dinamo?
”I primi anni, in particolare i primi due, non sono stati semplici. Non c’erano impianti a disposizione per poter fare delle partite serie. In questo periodo abbiamo iniziato a giocare, ma c’era in piedi una società che si reggeva su pochi soldi a disposizione messi da pochi ragazzini. Per intenderci, io ero il più giovane e avevo 15 anni, il più grande solamente 16. Si può immaginare quindi quali fossero le risorse. Nel ‘62, attraverso delle domande al Comune e alla Provincia, abbiamo ottenuto un finanziamento di duecentomila lire e con quei fondi ci siamo iscritti al primo campionato. Io non giocavo, scendevano in campo i miei amici e colleghi che, a onor del vero, non erano molto preparati dal punto di vista tecnico (ride ndr). Infatti nel primo periodo abbiamo preso tante batoste, nonostante il nostro primo allenatore Pino Aricò tentava di insegnarci qualcosa. A Sassari però c’era un’altra società, la Torres, in quel club c’erano giocatori seri, non più giovanissimi ma bravi. Loro si sono uniti a noi e hanno deciso di sposare il progetto Dinamo. Poi a metà campionato, con il loro arrivo nella stagione 1962-63, abbiamo iniziato a vincere. Anno dopo anno le cose sono migliorate, fino a quando non abbiamo vinto il campionato regionale e ci siamo qualificati alle fasi nazionali. Da quel momento tanti imprenditori hanno deciso di finanziare la Dinamo, tra questi Alessandro Ponti, che fu il primo presidente con i soldi in tasca (ride ndr). Il primissimo è stato Giovanni Pilo che era un giovane come noi. Sposò il nostro progetto anche Sandro Agnese, il proprietario di una delle pasticcerie più famose di Sassari, Bruno Contini, i cui figli hanno giocato alla Dinamo e sono super tifosi dei biancoblù. Loro hanno dato seguito al nostro cammino”.
Dai campetti delle scuole elementari, ai campi più importanti d’Italia, al trofeo nazionale più ambito. Quando il Banco ha alzato la coppa dello Scudetto per lei che ha visto la Dinamo nascere, crescere, sbagliare e trionfare che emozione è stata?
”Quello Scudetto fu un’emozione incredibile, fatico a descriverla. È stato un avvenimento fuori da ogni possibile sogno di quei ragazzi che, 64 anni fa, si ritrovarono a San Giuseppe per fare una semplice partita di basket. Un’emozione condivisa con tutta la città. La forza della Dinamo è che sempre, anche nei momenti più bui, ha contato sul sostegno di una parte importante della città di Sassari e della Sardegna. Spero che, nonostante quest’anno non sia stato felicissimo, i tifosi continuino a supportare i biancoblù. La Dinamo andrà avanti, forse non ripeterà il successo dello Scudetto, ma potrà raggiungere sempre traguardi importanti e prestigiosi”.
In questi 64 anni ha visto tantissimi giocatori, qual è quello che ricorda con maggiore piacere e il suo preferito?
”Il mio preferito è sicuramente Travis Diener, lui ci ha mostrato un altro pianeta del basket. Quello che ricordo con maggiore affetto è Emanuele Rotondo. Lui è stato a lungo capitano della Dinamo, lo ricordo con particolare piacere perché è stato l’autore del canestro che salvato la Dinamo dalla retrocessione e da una possibile scomparsa nell’ultimo anno di Milia. Poi sicuramente c’è Jack Devecchi, lo vedo quotidianamente ed è nel cuore di tutti. Lui rappresenta lo spirito della Dinamo”.
Sempre presente alle partite con lo sguardo illuminato quando vede giocare i biancoblù, questa stagione però le soddisfazioni non sono state tante. Che ne pensa di questa annata?
”Questa è stata un’annata sfortunata. Lo dico sinceramente e obiettivamente. A inizio stagione ero convintissimo che quella costruita durante l’estate fosse una buona squadra, un gruppo capace di centrare i playoff e regalare tante soddisfazioni. Gli infortuni hanno cambiato tutti i piani, ma è altrettanto vero che fanno parte dello sport: ci sono e ci saranno sempre. Però nel caso della Dinamo i problemi fisici hanno costretto la società a rivoluzionare il progetto. Basti pensare all’assenza di Bendzius, sotto certi aspetti il Banco poggiava su di lui e sulle sue qualità. Ovviamente ci sono state anche altre motivazioni, come spiegato anche dal presidente Sardara nella conferenza stampa al termine del match perso contro Varese, però secondo me alla base di tutto c’è la sfortuna. Capitano delle annate storte, l’importante però è aver trovato la salvezza che ci permette di affrontare questo finale di stagione senza ulteriori sofferenze”.
Fondatore della Dinamo, giornalista per la Rai, professore universitario, ma anche campione di nuoto. Come è nata la passione per questa disciplina e qual è la prossima medaglia che ha messo nel mirino?
”Quando mi chiamano campione di nuoto mi fa sorridere (ride ndr). Io ho iniziato a nuotare come hobby e quando gareggio ovviamente lo faccio con quelli della mia età. Quando faccio le cose metto sempre il massimo dell’impegno, ho fatto per tanti anni la vela e nuotare mi ricorda la sensazione che si prova in barca a vela. Quella libertà e quel trasporto che ti permette di dimenticare tutto e goderti il momento. Ecco, quando nuoto è la stessa cosa, nelle ore che sto in piscina la mia mente si libera, il mio spirito ne trae beneficio e fisicamente mi fa sentire bene. Consiglio il nuoto a tutti, così posso trovare anche nuovi avversari da battere e che mi battano”.
Andrea Olmeo