La nostra recensione del lungometraggio firmato dal regista Paolo Carboni, nato dall’idea di Antonello Zanda e Antonello Deidda, che racconta le vicende del capoluogo negli anni Sessanta.
SCARICA LA NOSTRA APP ANDROID SUL PLAY STORE!
Avete mai sognato di vivere in un periodo storico passato? Avete mai immaginato di poter vivere momenti attraverso l’ascolto dei racconti? È quello che si realizza attraverso l’ultimo film del regista Paolo Carboni, Casteddu Sicsti, nato da un’idea di Antonello Zanda e Antonello Deidda. Impossibile non riconoscere lo stile del regista: comunicazione chiara, cura dei dettagli e nessuna sorpresa nello scoprire che il film è in lingua sarda. Ma c’è una novità, ovvero è il primo film in cagliaritano, che a parere del regista “è una variante del sardo che si presta meglio ad essere utilizzata in un contesto cinematografico”.
Carboni spazia la sua regia con un ritmo di narrazione dinamico e versatile, attraverso un mix di interviste valorizzate da un simpatico dialogo tra amici, anche grazie alle immagini inedite fornite al regista da parte della Cineteca sarda. Protagonista vera è la città di Cagliari, raccontata nei suoi vari aspetti alla fine degli anni Sessanta, periodo in cui il capoluogo sardo riesce a mettersi in mostra e farsi riconoscere, raggiungendo la meritata importanza. Mentre la vita scorre non solo attraverso il boom economico, ma anche per mezzo di tutto quello che scaturisce, Cagliari è al centro dell’attenzione con i suoi talenti sportivi – nel dettaglio il pugilato e il calcio – soprattutto quando la squadra rossoblù vince lo storico scudetto, “una parte importante della storia della città passa attraverso il Cagliari Calcio”, confessa Carboni. Ma soprattutto lui, Rombo di tuono! “Giggiriva, tutto attaccato”, come anticipa il trailer.
Come erano i cagliaritani in quegli anni? Descritti dal film in modo minuzioso: Carboni parte proprio da qui, facendo incontrare tre anziani amici in una barberia, con ricordi e racconti dettagliati che scaturiscono attraverso aneddoti curiosi. Il regista ha dato il compito di riportarci indietro a sessant’anni fa a chi ha vissuto quel periodo, volti storici del teatro e spettacolo cagliaritano: Nino Nonnis, Giampaolo Loddo, Piero Marcialis e Giulio Manera. All’interno di questi racconti compaiono personaggi come Tonino Puddu, Adriano Reginato ed El Porro, si passa dal calcio alla boxe, dalla musica allo slang dell’epoca ancora attuale. Immagini inedite che raccontano come la statuetta della Madonna di Bonaria sia potuta arrivare in Argentina attraverso il Cagliari Calcio o pellicole che ritraggono la visita casteddaia di Papa Paolo VI (24 aprile 1970) e, tra una risata e l’altra, ancora tanto altro. La voce narrante di Nonnis permette allo spettatore di viaggiare non più solo con la fantasia, ma di poter (ri)vivere con i protagonisti qualcosa di straordinario. Soprattutto si ha la possibilità di visitare luoghi dimenticati o cambiati in toto, posti che probabilmente vivono solo nella memoria di pochi.
Il filo conduttore del lungometraggio è tenuto da Nonnis, che con naturalezza cattura l’attenzione di chi ascolta le sue parole. Avete presente quando si raccontano delle storie ai bambini? La stessa reazione di stupore è quella negli occhi dello spettatore, che può godere di un sapere del capoluogo sardo a 360 gradi e viene catapultato in una sorta di macchina del tempo, grazie a cui è possibile rivivere con curiosità e nostalgia il fascino di antichi mestieri come barbieri, pescatori e piccole botteghe, della cui arte (e nucleo di aggregazione sociale) oggi sopravvivono pochi superstiti. Racconti affascinanti conditi dalla simpatia dei protagonisti, raccontati sotto una chiave di lettura molto semplice, “fatta di cose di tutti i giorni che però è più facile dimenticare”, come dice lo stesso Carboni.
Questo film permette ai più giovani di scoprire il capoluogo sardo, tutelando la storia di una terra, di un popolo, di tradizioni preziose, trasmettendo non solo un connotato nostalgico ma anche uno scopo didattico e divulgativo, valorizzando il sardo cagliaritano. Sarebbe bello se la storia fosse insegnata ai giovani come la racconta Nino Nonnis, seduto su una panchina, con tutta la naturalezza di chi racconta una vita che non abbiamo vissuto ma che ci ha permesso di essere ciò che siamo oggi. Un Nonnis che non lascia trapelare allo spettatore di essere originario dell’interno nuorese (Sindia) dato che, come lui stesso afferma, “Cagliari è un supplemento d’anima di cui dispongo e vorrei allo stesso modo disponesse mio figlio, non solo per utilizzarla ma per apprezzare quello che si ha, perché quando entri in questo gioco, apprezzi anche le cose locali”.
Cosa fa affezionare le persone non cagliaritane a questa città, a tal punto da non volerla più lasciare, come è successo a Gigi Riva? Sarà chi guarderà il film a dare una risposta: il regista lascia gli indizi, ma sarà compito dello spettatore scoprire che non è poi tutto così scontato.
Silvia Cauli