Ieri Godín e Caceres, oggi Mazzarri, domani chissà. Nel Cluedo chiamato Cagliari l’assassino cambia con il passare dei mesi, ma a non cambiare è il delitto. Ogni assassino ha però spesso e volentieri il suo mandante e se le responsabilità possono essere equamente condivise, va da sé che chi è al comando non può nascondersi.
Game Over
La giornata che ha certificato l’esonero di Walter Mazzarri è stata un nuovo capitolo di una gestione che brancola nel buio. Intanto partendo dalla decisione in sé che certifica l’errore a monte nella scelta del tecnico toscano. Quando un allenatore viene rimosso dal suo incarico, a maggior ragione a tre giornate dalla fine, la sconfitta per la società si descrive da sola. Se poi si aggiunge che si tratta del secondo esonero stagionale, dopo quello di Leonardo Semplici, è nei fatti che la programmazione ha fatto acqua da tutte le parti. Più che segnare il passo il Cagliari sembra farsi travolgere dagli eventi, subirli più che pianificarli. D’altronde Walter Mazzarri, le cui mancanze sono sotto gli occhi di tutti, non si è autoproclamato tecnico dei rossoblù ma è stato scelto. Come furono scelti nell’ordine Zeman, Zola, Festa, Rastelli, Lopez, Maran, Zenga, Di Francesco e Semplici. Con diversi minimi comuni denominatori, partendo da allenatori in cerca di rilancio dopo un passato positivo e un’ultima esperienza negativa – Zeman, Maran, Di Francesco, Semplici, Mazzarri – o da scelte estemporanee per traghettare la squadra verso un porto sicuro – Festa, Lopez, Zenga. Uniche eccezioni a confermare la regola Rastelli e Zola, il primo esempio solitario di tecnico emergente e il secondo scelta di cuore senza successo. L’aspetto curioso è che chi è passato da Cagliari, alla fine, ha trovato in Sardegna non la chiave per il proprio rilancio, ma quella di volta negativa senza più risalita o quasi.
Riconoscenza
L’altro filo rosso che lega le decisioni in seno alla panchina è quello di salutare chi è riuscito a salvare il salvabile, in alcuni casi con un lavoro più che egregio. Massimo Rastelli detiene ancora il record di punti nell’era Giulini, ma il suo secondo anno in Serie A partì con la Spada di Damocle di una conferma tutt’altro che convinta. Diego Lopez, nonostante un percorso altalenante, seppe trovare il modo di compiere l’impresa finale. Risultato? Nuovo giro e nuova corsa, squadra affidata a Maran. Quest’ultimo ha portato il Cagliari in zona Europa, ma il crollo successivo lo ha visto sacrificato sulla via della salvezza. Zenga porta a termine il lavoro, lancia giovani, sembra garantirsi un futuro in Sardegna mentre vanno avanti i colloqui per un nuovo capitolo, in alcuni casi anche davanti a lui. Tabula rasa, di nuovo, e la scelta ricade su Di Francesco. Rimpiazzato da un Leonardo Semplici capace di raggiungere un obiettivo che sembrava utopia, salvo essere esonerato dopo solo tre partite l’anno dopo e una conferma più obbligata che altro.
Ultimo appello
Ogni stagione è diventata così l’anno zero, un foglio bianco sul quale scrivere la nuova lista di proclami. Legittimo, ma una volta che i fatti presentano il conto ecco che i processi diventano altrettanto legittimi se non doverosi. Walter Mazzarri è arrivato dopo un’opera di convincimento da parte del presidente Giulini, contratto importante con vista al 2024 – al netto di clausole ancora da capire. Una luna di miele durata poco, sempre che mai abbia avuto inizio. E si attendono le parole delle parti per capire se voleranno stracci, percorso immaginabile a leggere il comunicato ufficiale dell’esonero del tecnico toscano, o se verrà presto dissotterrata l’ascia di guerra. Nel frattempo a guidare il Cagliari nelle ultime tre decisive giornate sarà Alessandro Agostini, bandiera rossoblù che benissimo ha fatto da allenatore della squadra Primavera. Con il rischio di bruciarsi, ma senza la certezza che se tutto andrà bene allora la panchina della prima squadra resterà sua anche per la prossima stagione. Probabile ennesimo traghettatore per poi ripartire nuovamente da capo, sperando che il nuovo tentativo involontario di scendere nell’inferno della Serie B non arrivi a compimento.
Chi è causa del suo mal
Nella programmazione che manca rientrano anche i calciatori. Dai contratti lasciati a mezz’aria a nomi di grido che non rispondono sul campo alle aspettative, i nodi al pettine sono diversi. Per restare alla stagione attuale, la gestione delle cessioni è stata un fallimento, da chi è partito e ha trovato successo altrove – Simeone e Vicario su tutti – a chi avrebbe voluto farlo ma è stato fermato nonostante le richieste. Nández e il suo caso estivo sono l’esempio numero uno. La sfortuna ha poi aggiunto il proprio carico, ma non sono mancate le scelte che l’hanno chiamata a sé. In primis quella di Kevin Strootman, mai ai livelli del giocatore che fu né tanto meno di quello dei sei mesi con il Genoa. Difficile sorprendersi dei problemi fisici di un giocatore di per sé storicamente fragile. Il secondo infortunio di Marko Rog può essere un alibi, ma con un mese alla fine del mercato il non averlo sostituito a dovere è una colpa. Grassi ha fatto ciò che ha potuto, anche più delle attese, ma anche nel suo caso si è dovuto aspettare del tempo per rivedere un giocatore affidabile dopo gli ultimi stop al ginocchio. A gennaio si è puntato su Baselli, altro elemento con una storia fatta di sfortuna e di infortuni più o meno gravi. La gestione del contratto di Lykogiannis ha dato le chiavi della fascia mancina a Dalbert, quasi mai affidabile come d’altronde la sua carriera Milano, Firenze e Francia avrebbe dovuto insegnare. L’assenza di un regista di ruolo – storico problema dall’addio di Cigarini – ha confermato un vuoto mai riempito, così come i vari nomi poi epurati come Godín e Caceres – o come Keita, messo da parte all’improvviso e poi nuovamente tirato fuori – non hanno rispettato attese che a posteriori erano solo nella testa di chi li ha comprati. E la lista sarebbe ancora lunga se si riavvolgesse il nastro delle ultime stagioni.
Nel giorno più buio della gestione Giulini – perché la retrocessione al primo anno aveva almeno l’alibi dell’inesperienza – il presidente ha lasciato che Capozucca e gli altri dirigenti facessero il lavoro sporco. La chiamata alle armi delle bandiere Agostini, Conti e Cossu un ultimo disperato tentativo di evitare una discesa in Serie B che sarebbe meritata da una parte, ma comunque un bagno di sangue economico e non solo dall’altro. La speranza non è solo quella di mantenere la categoria, ma anche che dopo tanti fallimenti sportivi si prenda finalmente coscienza dei propri limiti e si riveda in toto la gestione della società per gli affari di campo. Con una divisione dei ruoli e delle responsabilità certa, lasciando a Cesare quel che è di Cesare ed evitando eccessive ingerenze almeno per quel che riguarda la costruzione della rosa. E creando un gruppo che, una volta per tutte, rappresenti un qualcosa che assomigli alla tanta decantata parola progetto.
Matteo Zizola