Un primo bilancio della gestione Maran nella stagione che doveva essere ricca di soddisfazioni e che dopo aver raggiunto picchi notevoli, ha visto un crollo repentino cui urge porre rimedio.
Tre mesi lontano dalla vittoria, undici partite consecutive senza i tre punti, una squadra che nonostante il ritiro non è apparsa in ripresa nella gara persa contro la Roma. Rolando Maran è da pochi minuti l’ex allenatore del Cagliari dopo 63 gare in panchina con il bottino di 32 punti in questo campionato, 41 l’anno passato e una media di quasi 1,16 a partita: nella stagione del centenario, con il sogno europeo che fra il tardo autunno e l’inverno si è tramutato in un incubo, Giulini prova a dare una svolta a un gruppo che ora non avrà più alibi e che dovrà dare quelle risposte da uomini richieste dal presidente nel post partita di Genova.
Che Maran abbia avuto le sue colpe – e i suoi meriti – in questo percorso a due facce del Cagliari 2019-2020 lo dicono i risultati, gli stessi che ne hanno sancito la condanna dopo la sconfitta con la Roma. Da una parte vittorie che, con alcune eccezioni, non hanno mai convinto appieno dal punto di vista del gioco, dall’altro sconfitte nelle quali difficilmente si è vista la mano dell’allenatore nel cercare di invertire la rotta. A corollario una gestione del gruppo che si è resa mano a mano sempre più difficile, forse anche a causa di alcune personalità forti alle quali il tecnico trentino non era mai stato abituato nella sua lunga carriera in provincia: Nainggolan su tutti, ma anche Nandez, Rog e da ultimo Pereiro, giocatori abituati ad altri palcoscenici e che Maran potrebbe aver patito.
LA GESTIONE DELLA ROSA
La gestione delle rotazioni della rosa ha anch’essa lasciato qualche dubbio che si è poi ripercosso sulle scelte di mercato e non vanno dimenticate poi le scelte tattiche, tra l’ostracismo ai cambiamenti e il continuo adattare gli uomini allo schema piuttosto che il contrario, snaturando spesso le qualità dei singoli in nome del rombo o dell’ultimo albero di Natale. La scelta dei suoi pupilli in sede di mercato è un altro fattore negativo, un unicum a livello numerico rispetto ai suoi predecessori dell’era Giulini: Mattiello, Cacciatore, Birsa, Castro e Paloschi non hanno quasi mai convinto sul campo e sono stati lontani dall’essere quel valore aggiunto che forse lui stesso avrebbe sperato. Infine le dichiarazioni post Roma che lasciano poco spazio all’immaginazione: “D’ora in avanti le scelte saranno fatte in funzione degli avversari e del lavoro in settimana”, parole che hanno posto seri interrogativi sulla paternità di alcune decisioni del recente passato.
Maran però non può e non deve essere l’unico colpevole, protetto a parole dalla società, ma quasi mai nei fatti. Fin dal mercato estivo, fra un centrocampo ricco di giocatori di livello e una difesa da inventare, ma soprattutto quando è scoppiato il caso Nandez, con smentite continue e la patata bollente lasciata in mano al tecnico. La vicenda Castro, da pupillo a epurato in direzione Ferrara, la famosa cena che ha portato all’infortunio di Pavoletti, un mercato di gennaio che invece del difensore centrale richiesto ha visto arrivargli in dote un trequartista, pur se di valore assoluto, e qualche cambio alla voce sostituti, il dualismo in porta che difficilmente fa bene a una squadra. Il balletto del nome dei sostituti e chiuso con il ticket Zenga-Canzi, già visto quando fu esonerato Rastelli, è la ciliegina sulla torta di una gestione che appare, al momento, lontana dalla chiarezza programmatica.
LA NECESSITÀ DI CAMBIARE
Infine i giocatori che negli ultimi mesi sembrano lontani parenti, per mentalità e cattiveria, rispetto a quelli che avevano rimesso in sesto la partita con la Sampdoria, distrutto la Fiorentina, vinto a Napoli e Bergamo resistendo agli assalti con la bava alla bocca: come accaduto ai tempi di Rastelli, Giulini forza la mano, va contro le sue stesse parole celebrative del tecnico di turno fino a pochi giorni prima del cambio e mette di fronte i calciatori al loro dovere togliendogli l’alibi dell’allenatore. Ora toccherà allo strano duo Zenga-Canzi riportare tranquillità, raccogliere i cocci e rimettere insieme una squadra che ha dimostrato di poter dire la sua: da un lato un tecnico che non sembra troppo amato dalla piazza – eufemismo – dall’altro colui che ha reso grande la Primavera rossoblù passo dopo passo e che la piazza la conosce come le proprie tasche. Il Cagliari non era da Champions come aveva illuso il filotto positivo, ma tantomeno è da zona rossa come fanno intendere le ultime undici gare, partirà così la ricostruzione verso un nuovo anno zero e un futuro che per tutti passerà dalle ultime tredici partite: il centenario alle porte sembrava potesse avere tutt’altro sapore.
Matteo Zizola