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Cagliari, il punto non basta: ma per la salvezza non devi guardare altrove

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Da dominare a essere dominati, da tre punti che avrebbero dato una spinta decisiva verso la salvezza a un punto guadagnato secondo la legge di Claudio Ranieri del “se non si può vincere meglio non perdere”. In mezzo l’espulsione di Gaetano, episodio che ha cambiato le sorti per un Cagliari fino a quel momento perfetto contro un Lecce comunque mai domo.

Non solo alibi

In attesa della gara tra Udinese e Napoli, con i risultati a sorpresa – ma nemmeno troppo – di Sassuolo e Verona, la corsa per la permanenza in Serie A dei rossoblù di Ranieri compie un piccolo passo. Eppure tutto sembrava poter andare per il verso giusto. Pressione totale, controllo del gioco, il gol del vantaggio siglato dal sempre più leader Mina a suggellare un dominio territoriale evidente. All’improvviso, però, l’Abisso: maiuscolo, come il cognome dell’addetto al VAR che ha richiamato l’arbitro Marcenaro e certificato la svolta della partita. Il Cagliari, a quel punto, ha scelto di portare avanti la gara sui binari del tempo: quello dell’attesa, quello del novantesimo da raggiungere mantenendo l’1-0, quello dell’orologio da far diventare amico e che, inevitabilmente, diventa nemico più le lancette segnano il passo. L’involuzione fisica della squadra come fattore determinante, a maggior ragione in inferiorità numerica. I crampi di Mina e Makoumbou, le difficoltà di Nández che portano al ritardo sul pareggio di Krstovic, tutti segnali di un gruppo lontano parente di quello che aveva messo alle strette – soprattutto atleticamente – Atalanta, Inter e Juventus. Come se la testa e non solo le gambe, con il carico di pressione e paure, avesse appesantito corsa e freschezza. Non solo di chi va in campo, ma anche del condottiero: perché in fondo Ranieri ha sì ragione quando vede nel punto un bicchiere mezzo pieno, ma ha allo stesso tempo torto quando riporta alla luce l’antico mantra del se non si può vincere meglio non perdere.

Chi ha tempo

Non solo l’espulsione di Gaetano. La scelta, al rientro dagli spogliatoi, di cambiare tattica e uomini ha inciso in un secondo tempo tutto sangue e lacrime. Fino a dover perfino ringraziare pali e Scuffet, fino a dover salutare il pareggio come un punto guadagnato e non due persi. Una contraddizione che però nasce da decisioni ponderate e che vanno al di là del senno del poi. Difesa che passa a cinque, attacco affidato al solo Luvumbo finché l’angolano ha retto, Lapadula fuori e Shomurodov come unico cambio offensivo in grado di reggere la situazione di inferiorità e lotta. E il pallino lasciato al Lecce, ché finché il numero 77 è riuscito a mettere in ansia Pongracic e Baschirotto è apparsa scelta fantasiosa ma positiva, salvo pagare dazio nella seconda parte di ripresa. Provare a tenere il 4-4-1, con Luvumbo largo e senza infoltire la retroguardia, una strada che forse avrebbe concesso al Lecce più spazi, ma anche tenuto alta la guardia di avversari che, una volta visto l’angolano salutare la partita, hanno avuto vita facile nel non preoccuparsi e pensare solo a cercare il pareggio. Insomma, quando non si può vincere meglio non perdere, ma se sei in vantaggio a volte provare a tenere giocando più che lasciando giocare non sarebbe un crimine. Seppur il punto potrà pesare, forse tanto quanto i due persi.

Corsi e ricorsi

Resta sullo sfondo l’aspetto chiamato mentalità. Perché la storia recente del Cagliari insegna che a guardare troppo altrove – che sia la prossima partita o le concorrenti – si perde di vista se stessi. Cercando così di controllare eventi che non dipendono soltanto dal proprio volere, mettendo invece da parte ciò su cui si potrebbe al contrario incidere. Un po’ come la notte di Venezia, con la paura di biscotti indigesti a Salerno mentre il problema era il fuoco amico che non infiamma in Laguna. O come le volte che si è buttato palla in avanti, verso quello scontro diretto ritenuto come un match point, rinunciando al presente e riuscendo alla fine a non ottenere né l’uovo oggi né la gallina domani. Tutti discorsi, sia le critiche che le pacche sulla spalla, che non possono prescindere da quella che – pur se nascosta – appare ormai una verità. Una squadra che nel momento del picco più alto sembra aver dato tutto o quasi, atleticamente e mentalmente. Come se quei cinque punti quasi inattesi avessero svuotato le residue forze, dando l’idea che in fondo il più era stato fatto. Dimenticando però che il rettilineo finale va ancora percorso e che è storicamente ricco di ostacoli imprevisti. Come le vittorie a sorpresa altrui, come le scivolate a piede alto che cambiano il corso degli eventi. Certo, Ranieri lo aveva anticipato più volte: “ci sarà da lottare fino all’ultimo secondo dell’ultima giornata”. Una profezia che, però, non è obbligatorio che si auto-avveri. Partendo da Milano, senza pensare a Sassuolo, senza guardare all’ultima in casa contro la Fiorentina.

Matteo Zizola

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