Un progetto di sinergia realizzato soltanto in minima parte rispetto alle aspettative iniziali, con qualche obiettivo raggiunto a fronte di tanti punti interrogativi.
“Non ci sarà nessun disimpegno, anzi: cerchiamo sempre di crescere, andando avanti. Avevo detto che sarebbe stato un nuovo ciclo, che ci sarebbe stato un rodaggio. Beh, il rodaggio non ha funzionato ed è evidente, ma non è che per me questi giocatori ora sono diventati dei brocchi. Se la gente pensa che costino di meno e per questo sono brocchi si sbagliano di grosso, ma è evidente che dobbiamo trovare il valore di questi giocatori sul campo perché è questo che conta, non le chiacchiere”.
Parole e musica di Alessandro Marino, patron dell’Olbia, a margine della presentazione di Andrea Cocco, ultimo rinforzo del club gallurese. Che, secondo le aspettative iniziali, avrebbe dovuto rappresentare l’esempio da seguire per tanti club italiani, sulla scorta dell’esperienza delle seconde squadre già da decenni sperimentate con successo in Spagna e Inghilterra. Eppure il caso dell’Olbia, dall’inverno 2015 nelle mani di Marino, uomo di fiducia di Tommaso Giulini, può definirsi quello di un progetto riuscito a metà, che in questa stagione sembra essere a un vero e proprio passo crepuscolare. Sono passati quattro anni da quando il management del Cagliari ha deciso di investire tempo e finanze nel club gallurese, all’epoca presieduto da Pino Scanu, con l’obiettivo di farne la succursale della squadra rossoblù e usare il professionismo della Lega Pro (dopo aver conquistato i playoff di Serie D contro la Torres) per far crescere i giovani e valutarli in vista di un ritorno alla casa madre. Una progettualità chiara nelle intenzioni, ma che ha dovuto fare i conti con la dura realtà di alcune situazioni, ultima delle quali l’introduzione della norma del limite dei 6 prestiti da squadre di Serie A e B per i club della Lega Pro (comunicato 235/L del 17 aprile 2019, articolo 1). Una modifica regolamentare che ha definitivamente e pesantemente influito sul cambio di influenza della società rossoblù nei confronti di quella gallurese, con un progressivo, lento e inesorabile distacco. Il ritorno a Cagliari di Pierluigi Carta, per tre anni e mezzo direttore sportivo dell’Olbia e deus ex machina dei rapporti con la casa madre per gli arrivi dei giovani rossoblù in Gallura, è stato un altro indizio.
TANTI NOMI IN QUATTRO ANNI – Già nello scorso luglio scrivemmo dell’utilità di portare avanti la sinergia tra i due club, specie alla luce dell’ottimo rendimento della Primavera rossoblù (e, in generale di tutto il settore giovanile) nei vari campionati nazionali. La piazza olbiese ha rappresentato, negli anni, il potenziale trampolino di lancio per tanti giovani: nel 2015-16, anno del salto dalla Serie D con Michele Mignani in panchina (che rilevò Biagioni con l’avvento del nuovo corso), da Cagliari arrivarono il portiere Carboni, i terzini Pinna e Cotali, insieme al centrocampista Piredda (oltre ad Andrea Cossu e Paolo Dametto, entrambi svincolati). L’anno successivo fu il turno della prima “infornata”: dalla Primavera di Max Canzi ecco il portiere Montaperto, i centrocampisti Auriemma, Scanu, Tetteh e Murgia, insieme ai più esperti Russu, Muroni e Capello, cui si unirono gli ex rossoblù Ragatzu e, soprattutto, Checco Pisano. Nel 2017-18, con Bernardo Mereu in panchina per tutta la stagione, vestirono la maglia bianca i vari Pennington, Biancu, Manca, Vasco Oliveira (ora in forza al Genoa Primavera), Idrissi e Arras, oltre al puntello di esperienza rappresentato da Simone Aresti. Un anno fa dalla casa madre vennero mandati a maturare Crosta, il colombiano Damir Ceter, Caligara – tutti elementi della prima squadra in cerca di minutaggio – oltre ai baby Mastino, Cusumano e Pitzalis, l’unico che è riuscito a imporsi da titolare. Fino ai giorni nostri, con gli arrivi (a titolo definitivo) della coppia d’attacco del Cagliari Primavera che sfiorò i playoff, Verde-Doratiotto, insieme a un altro pilastro di quella formazione come la mezzala Lella. Tra tutti questi c’è chi a Olbia ha messo radici, chi ha vissuto l’esperienza di un solo anno e, in alcuni casi, soltanto di qualche mese.
RISULTATI NON PROPRIO CONFORTANTI – A tornare utili per la prima squadra, a conti fatti, sono stati ben pochi: Biancu ha fatto il ritiro estivo con Maran, ma con l’arrivo dei tre tenori – Nainggolan, Nandez e Rog – ha fatto rapidamente marcia indietro verso la Gallura. Pinna, lodato in più di un’occasione dalla dirigenza rossoblù come esempio di caparbietà e dedizione alla causa, con il pieno recupero di Faragò è la terza scelta per il ruolo di terzino destro ed è sempre più vicino alla cessione in prestito a gennaio, dopo aver messo insieme due presenze, contro Chievo (Coppa Italia) e Brescia. Aresti è tornato a Cagliari per fare il terzo portiere con l’opportunità, tra qualche anno, di chiudere la carriera dove era iniziata, sull’esempio di Cossu. Ragatzu è la quinta punta in organico, con Maran che gli ha regalato spazio contro la Fiorentina a risultato ampiamente acquisito: la sua sfortuna, al momento, è quella di essere chiuso dalla coppia intoccabile formata da Joao Pedro e Simeone, senza contare che, da possibile cambio in corsa, spesso il tecnico trentino per esigenze tattiche gli preferisce due mediani (Ionita e Castro) o un difensore.
LO STATUS ATTUALE – Nel frattempo, a Olbia, si assiste al dissesto: 11 punti in 15 gare, con sole tre lunghezze di vantaggio sulla Pergolettese ultima in graduatoria, frutto di 2 vittorie e 5 pareggi, a fronte di ben 8 sconfitte. L’ultima è arrivata domenica al Nespoli contro il Novara, dopo l’ennesima gara in cui i bianchi avevano raddrizzato il risultato (grazie al gol di Parigi), ma un nuovo blackout a inizio ripresa è stato decisivo per le sorti del match. Un rovescio costato la panchina al cagliaritano Michele Filippi, esonerato per la seconda volta in due stagioni. Marino non ha ancora scelto il nuovo tecnico, anche se i nomi che girano con maggiore forza sono quelli dell’ex Biagioni, oltre a Mario Petrone (da tempo di stanza nella città gallurese) e David Suazo. Tre nomi, specie i primi due, che confermerebbero una sorta di raffreddamento dell’interesse della casa madre nei confronti del progetto satellite, al di là delle parole di Marino.
PIAZZA MAI TROPPO CALDA – Ma i risultati sono solo la punta di un iceberg fatto di delusione, disillusione, mestizia. La piazza, da sempre fredda e critica verso l’avvento del progetto Cagliari, dopo l’entusiasmo mostrato al ritorno in Lega Pro, ha progressivamente e definitivamente abbandonato una squadra che in realtà il calore l’ha sentito poco anche quando l’approdo ai playoff era stato ad un passo. Tanto da porlo come obiettivo nell’estate 2018, prima che la stagione targata Filippi-Carboni-Filippi evolvesse nella mediocrità. Arrivò così l’estate 2019, il cambio dello sponsor tecnico (da Macron, utilizzato dal Cagliari, al ritorno di EyeSport, partner pre-Giulini), la paventata intenzione di costruire una squadra più esperta non è stata concretizzata, così Filippi si è trovato a gestire una rosa corta e inesperta. Partenza illusoria (due vittorie, come un anno prima) e tracollo, inesorabile. La differenza è che, oggi, non si vedono all’orizzonte interventi per cambiare la rotta.
GENNAIO ULTIMA CHANCE? – Negli anni scorsi la dirigenza del Cagliari era stata presente, accanto ad Alessandro Marino, in occasione delle partite e nei fatti, intervenendo sul mercato e con scelte concrete (vedi allenatori). Adesso c’è il deserto, di passione e di persone, di decisioni e fatti. I (pochi) tifosi allo stadio reclamano un presidente, la città rimpiange gli olbiesi a capo della maglia bianca (ma con loro chissà se si sarebbe riusciti a mantenere anche solo la Serie D…), la classifica piange. Sostanzialmente, il calciomercato di gennaio – oltre all’ingaggio last minute di Cocco – appare come l’ultimo capitolo di una storia mai decollata per davvero: se si assisterà ad interventi veri per rafforzare la squadra ed evitare la retrocessione, vorrà dire che c’è ancora qualcosa oltre le vuote parole proferite nelle interviste dal Capo di Sotto. Altrimenti la parola fine sarà solo da scrivere.
Francesco Aresu