Anche Solinas si è espresso: legge elettorale sarda da cambiare o no?
Alcuni dicono che si tratti della legge più importante in Sardegna, perché ne regola il delicato esercizio democratico. Altri dicono che le cose importanti in Sardegna siano altre. Fatto sta che la legge elettorale sarda è sulla bocca di tutti. In una recente intervista a Videolina, anche il neoeletto Presidente della Regione Christian Solinas ha voluto esprimere il suo parere negativo. “Da rivisitare, da cambiare e rendere più agevole”, ha detto il Segretario del Partito Sardo d’Azione.
Il parere di Solinas è da leggere in un contesto che vede l’insediamento del nuovo Consiglio Regionale ancora “in sospeso”, proprio a causa delle complicate disposizioni contenute nella legge elettorale. La doppia preferenza di genere e il particolare meccanismo del voto disgiunto potrebbero spiegare una tempistica non proprio celere. Un altro possibile motivo del ritardo sarebbe da ricercare nell’articolo 18 della suddetta legge. Ce lo suggerisce su La Nuova Sardegna Abramo Garau (numero uno di Abbanoa), spiegando che le previsioni poco chiare di quell’articolo sarebbero responsabili delle lungaggini nel conteggio dei resti. Il difficile calcolo è ormai affidato ai magistrati delle Corti d’Appello e dei tribunali interessati. E noi possiamo dormire sonni tranquilli.
Anche perché la legge, ha detto il neo-Presidente, sarà presto cambiata. Il proclama di Solinas non suona però come una novità. Anche se per altri motivi, da quando la legge elettorale è nata, sono stati molti i sardi (politici e non) ad essersi espressi in maniera critica su di essa. L’odierna legge elettorale venne resa operativa dalla Giunta Cappellacci nel 2013. Proviamo allora a tornare indietro alle elezioni regionali del 2014, le prime in cui la legge venne applicata. Cinque anni fa si votò il 16 febbraio, e si dovette aspettare sino al 12 marzo per la proclamazione degli eletti. Passarono 28 giorni. Questa volta, dal 24 febbraio ne son passati 22.
Nel 2014, come oggi, le critiche più forti alla legge elettorale riguardarono le cosiddette “soglie di sbarramento”. La legge vuole infatti che il candidato presidente di una coalizione, per poter essere eletto in Sardegna, debba prendere almeno il 10% dei voti totali nell’isola. Anche la somma delle liste associate a quel candidato deve però essere almeno del 10%. La soglia è abbassata al 5% per le liste che concorrono da sole. Entrambe le soglie sono state definite senza mezzi termini “antidemocratiche” da tutto il mondo indipendentista isolano, partitico e non, che si è visto escluso in toto a questa tornata elettorale. In queste elezioni, la soglia a cui puntare era il 5%, poiché Autodeterminazione, Sardi Liberi e Partito dei Sardi si sono presentati divisi alle elezioni. Anche nel 2014 arrivarono molte proteste dal mondo indipendentista. Allo scorso turno fu, tra gli altri, la buon’anima di Doddore Meloni a ricorrere al Tar per l’incostituzionalità della legge elettorale. Le critiche arrivarono anche da parte di Michela Murgia che, nonostante il 10,3% raggiunto da Sardegna Possibile, non elesse consiglieri regionali “per colpa” dei pochi voti presi dalle liste a lei collegate. In quel caso, anch’esse avrebbero dovuto prendere almeno il 10%, perché in coalizione con Michela Murgia. Stesso discorso, oggi come allora, per Mauro Pili che, in una parola, ha definito la legge elettorale “liberticida”. I sardi non rappresentati nel 2014 furono, sommando i voti presi da Mauro Pili e Michela Murgia, più di 100.000.
Stavolta è rimasto deluso anche il candidato Presidente dei 5 Stelle Francesco Desogus. Nonostante i grillini siano riusciti per la prima volta nella storia ad entrare in regione, Desogus non sarà infatti tra i consiglieri pentastellati. Questo succede proprio a causa di alcune disposizioni contenute nella legge elettorale sarda, Desogus, neofita della politica ed eletto dalla base del movimento, ha definito semplicemente “assurde”.
Chissà invece se le dichiarazioni di Solinas saranno seguite dai fatti, o se “gli eventi” ci porteranno a votare, di nuovo, tra 5 anni (o prima, chissà?) ancora con la stessa controversa legge elettorale.
Enrico Zanda