Siamo razzisti o non siamo razzisti? La scenetta molto da mondo del pallone a cui abbiamo assistito sabato, 19 marzo, verso le 22.50 ha rimesso il dibattito sulla discriminazione per il colore della pelle al centro della piazza cagliaritana. Lo scenario quello della Unipol Domus, il contesto il triplice fischio della gara finita con la sconfitta dei rossoblù di Walter Mazzarri da parte del Milan per 1-0. Maignan, portiere rossonero, festeggia. Ha giocato la ripresa sotto la curva dei supporter di casa. Dal settore arriva qualche parola di troppo, qualche insulto. Tanto che si avvicina anche il compagno di Maignan, Tomori, e anche lui resta incredulo con le mani aperte, come a chiedere “perché”, mentre guarda il tifo rossoblù. Da lì in poi le squadre si mischiano in un parapiglia di insulti e spintoni, con il passare dei minuti che calma gli animi.
Crescita
Non è la prima volta che succede un fatto simile a Cagliari, anzi, e probabilmente non sarà nemmeno l’ultima. Non è la prima volta che un gesto di questo tipo avviene in uno stadio italiano e probabilmente, quasi certamente, non sarà nemmeno l’ultima. Intanto la Procura, come suo solito, indaga. Non ne va data una colpa principale ai club di Serie A. Il Cagliari nel suo piccolo è sempre stato molto attento alla lotta alle discriminazioni, alla parità di genere e alle uguaglianze, con tutta una serie di iniziative, non ultima quella di BeAsOne, che mirano a una maggiore cultura e a un maggiore rispetto all’interno degli stadi e più in generale nel mondo dello sport. Senza dimenticare la bella e simpatica organizzazione della Curva Futura, una scuola di tifo pensata per i più piccoli. E nella stessa partita tra Cagliari e Milan a ogni interruzione è stato mandato sugli schermi il video della Serie A Keep Racism Out, pensato e realizzato con i messaggi dei vari giocatori del campionato per sensibilizzare gli spettatori sul tema.
Distanza
Spesso però tra l’iniziativa e il mondo reale sta di mezzo il mare. Non basta lo spot, la campagna, il bel sito internet per fermare una stortura diffusa e difficile da cambiare. L’errore più grande di molte società di Serie A e di parte della piazza in seguito a eventi del genere è quello di mettere la testa sotto la sabbia. Giustificare: “il nostro pubblico è sempre stato corretto”. Lo ha detto anche Joao Pedro al termine della sfida contro il Milan. Ed è vero, sicuramente la maggior parte del tifo isolano ha dei valori importanti collegabili allo sport ma è inutile negare che ci sia anche il razzismo come male all’interno di una piega dei vari supporter rossoblù. Così come di quelli bianconeri, rossoneri, gialloverdi o fucsia. La scelta deve andare controcorrente ed è quella di condannare. Non serve dire che erano solo 4 scemi, ma bisogna allontanare i 4 scemi. Ammettere che all’interno del proprio pubblico ci sono degli aspetti che non piacciono è molto più complesso da compiere come passo rispetto a realizzare un’iniziativa sociale. Anche perché l’umore della propria piazza è spesso il motore per una squadra, specie di una formazione che lotta costantemente per non retrocedere (e non solo a livello economico). Un gioco di equilibri, a volte precari, dove dovrebbe vincere una linea netta, ma a volte esultano altre priorità. Un dare e avere dal proprio pubblico che lega il calcio dal punto di vista dell’agire su alcune tematiche, e che in fondo non è troppo diverso dalla scelta di allargare il settore ospiti portandolo all’interno dei propri sostenitori nei distinti. In questa ottica però va dato merito al Cagliari di aver sempre collaborato con gli enti specifici per l’individuazione dei soggetti colpevoli, anche chiudendo a vita i cancelli dello stadio per alcuni tifosi fermati per insulti razzisti. Una decisione forte che dovrebbe diventare abitudine.
Roberto Pinna