Le voci rincorse negli ultimi giorni di un presunto interesse dell’imprenditore Gabriele Volpi per acquisire l’Olbia hanno provocato secche smentite da ambo le parti. Ma cosa prevedono le norme federali?
No comment, comunicati di smentita e le solite, incontrollate voci a rimbalzare da un punto all’altro dell’isola, con la Gallura al centro dell’attenzione ma non – soltanto – per questioni legati al turismo, ma per vicende pallonare. Tutto nasce nel pomeriggio di venerdì, con la notizia diffusa da TuttoSerieD, testata giornalistica che si occupa di dilettanti. “Gabriele Volpi, patron di Spezia e Arzachena, è interessato ad acquistare l’Olbia”. Poche scarne righe, in cui si manifesta la presunta intenzione da parte dell’imprenditore ligure (nazionalizzato nigeriano) di intavolare una trattativa con il patron del club gallurese Alessandro Marino, previo placet del Cagliari Calcio. Fake news? Boutade? Di fatto è certamente un sasso lanciato nello stagno della Lega Pro, verrebbe da dire, in un momento in cui la terza serie è impegnata con i tanti, troppi interrogativi sulla ripartenza decisa dal Consiglio federale, nonostante un fronte spaccato tra favorevoli e contrari a riveder rotolare il pallone nelle prossime settimane. E pure in quello della Lega Dilettanti, che nelle ultime ore ha ufficializzato la chiusura dei battenti, tra mille polemiche. Insomma, un orizzonte nebuloso, cui si aggiungono le voci della possibile riforma dei campionati che sarebbe una vera e propria rivoluzione nell’ambiente calcistico nazionale, con ovvie ripercussioni sia sul settore professionistico che dilettantistico.
La reazione degli interessati
La voce, che nell’ambiente calcistico regionale circolava già da qualche tempo a mo’ di paradosso, vola veloce di bocca in bocca, come cantava Fabrizio de Andrè. Teoria valida negli anni Settanta, figurarsi nel 2020 in tempi di social network. Tanto da finire sulle pagine di siti web e giornali – come L’Unione Sarda, che ha parlato di un presunto interesse di Volpi anche per la Torres, prima di puntare il mirino verso i bianchi – destando curiosità nell’ambiente e la reazione dei diretti interessati. Da noi contattata, l’Olbia ha fatto sapere, in un momento difficile come questo, di non avere tempo per commentare indiscrezioni definite surreali. Anche perché la principale preoccupazione del club gallurese, al momento, è quella di capire come affrontare l’eventuale prosieguo della stagione. Sul fronte Spezia-Arzachena, invece, in mattinata è arrivata la secca smentita sul sito ufficiale del club ligure: “La notizia pubblicata su alcuni quotidiani e relativa ad un presunto interesse della Stichting Social Sport di Gabriele Volpi nei confronti dell’Olbia Calcio 1905, è totalmente priva di fondamento. Il Gruppo è in una fase di importante riposizionamento strategico, con una particolare attenzione agli investimenti che implicano sinergie e risvolti occupazionali”.
Cosa dice l’articolo 16 bis delle Norme organizzative interne alla Figc?
In attesa di conoscere ulteriori sviluppi, è necessario però fare un chiarimento: dando per vera l’ipotesi in campo, in base alle norme federali il gruppo Volpi potrebbe davvero acquistare l’Olbia? La risposta è no, almeno allo stato attuale: lo dice l’articolo 16 bis delle Norme organizzative Figc, nel quale si dice chiaramente che “Non sono ammesse partecipazioni o gestioni che determinino in capo al medesimo soggetto controlli diretti o indiretti in società appartenenti alla sfera professionistica o al campionato organizzato dal Comitato Interregionale”. Ancora, il comma 2 disciplina i rapporti di parentela: “Ai fini di cui al comma 1, un soggetto ha una posizione di controllo di una società o associazione sportiva quando allo stesso, ai suoi parenti o affini entro il quarto grado sono riconducibili, anche indirettamente, la maggioranza dei voti di organi decisionali ovvero un’influenza dominante in ragione di partecipazioni particolarmente qualificate o di particolari vincoli contrattuali”. Salvo deroga, però: come nel caso di Salernitana e Bari, per fare due esempi, le istituzioni sportive hanno “concesso” a Lotito e De Laurentiis – attraverso due nuove compagini, con all’interno parenti o affini – di poter far ripartire il calcio in due piazze dove le precedenti società erano “fallite” (o non si erano iscritte per problemi economici), in nome del blasone e della rilevanza delle stesse nel panorama nazionale. Purché ci sia almeno una categoria di distanza, ça va sans dire, tra il club di riferimento (Lazio e Napoli, in questo caso) e quello satellite. Prima esisteva il cosiddetto Lodo Petrucci, l’istituto nato per disciplinare l’argomento dopo le polemiche che seguirono il salvataggio della Florentia Viola, arrivato con una decisione discrezionale: dal 2014 è stato abrogato, lasciando spazio a un formale inasprimento delle regole (la ratio del famoso articolo 16 bis insegna) e a situazioni da valutare, nuovamente, in base alla discrezionalità.
Il parere degli esperti
La situazione attuale, dunque, dice che non esiste una norma che stabilisca espressamente la possibilità di avere due squadre tra i professionisti. Anzi, la logica che ispira la normativa va nella direzione opposta: “L’articolo 16 bis Noif dice chiaramente – spiega l’avvocato Paolo Marsilio, esperto di diritto sportivo – che le partecipazioni societarie non sono consentite, sia in modo diretto che indiretto. Nel caso di società fallite e ricostituite con una nuova compagine si pone poi il problema di gestire l’eventuale coesistenza nella stessa categoria, con le Noif che impongono il termine perentorio di 30 giorni per cessare il controllo di una delle due società”. Poi un auspicio: “Ritengo anche che, di fronte a un tema complesso e, spesso nebuloso, come questo sarebbe auspicabile una nuova e più precisa regolamentazione dell’argomento da parte degli organi federali”.
Un aspetto, quello della nebulosità, che torna anche nell’analisi di un altro esperto di diritto sportivo, l’avvocato Filippo Pirisi: “L’interpretazione dell’articolo 16 bis rappresenta certamente uno degli aspetti più curiosi delle Noif poiché, se da un lato, con la sua astratta rigidità, sembra imporsi da faro nella notte per la trasparenza dell’universo-calcio, dall’altro apre il fianco a numerose interpretazioni che, in un certo senso, lo rendono a dir poco anacronistico. Il comma 1 vieta le partecipazioni societarie, ma il comma 4, riformato nel 2012 dal Consiglio federale, prevede che non si dà luogo alle sanzioni qualora il controllo derivi da successione mortis causa a titolo universale o particolare, o da altri fatti non riconducibili alla volontà dei soggetti interessati e che qualora sopravvengano, per i suddetti motivi, situazioni tali da determinare in capo al medesimo soggetto situazioni di controllo diretto o indiretto in società della medesima categoria, i soggetti interessati dovranno darne immediata comunicazione alla FIGC e porvi termine entro i 30 giorni successivi. La differenza rispetto al passato è che l’attuale nuova versione consente la non applicazione delle sanzioni prima previste e il mantenimento del controllo di più società, purché non appartengano alla stessa categoria anche in pendenza di conflitto di interessi e purché i fatti siano sopravvenuti e non volontari”.
Un passaggio da non sottovalutare, una sorta di scappatoia: “Bisogna, dunque, capire cosa si intenda per altri fatti non riconducibili alla volontà dei soggetti interessati: ciò significa che se dovessero verificarsi fatti non direttamente riconducibili alla volontà del soggetto coinvolto, anche se gli stessi dovessero andare a provocare il conflitto di interessi, se le due Società non si venissero a trovare nella stessa categoria, allora non si aprirebbe alcun procedimento sanzionatorio. La particolarità della questione è che, precedenti alla mano (Lazio e Salernitana, Lazio e Siena, Napoli e Bari), il fatto per cui una società ottenga la promozione da una categoria all’altra (quindi anche dalla serie D alla serie C, comprensivo dell’ovvio mutamento di status) è considerato una circostanza non direttamente riconducibile alla volontà della proprietà e, quindi, è tale da comportare la non applicazione delle sanzioni indicate dall’art. 16 Noif”.
Olbia, il 28 maggio è data chiave per la stagione
Insomma, la regola di base è chiara e stringente, ma lascia – come spesso accade – un certo spazio interpretativo (in una forma “elusiva”) e discrezionale a chi poi deve gestire il carrozzone del pallone italico, come dimostrano gli esempi dei connubi Lazio-Salernitana e Napoli-Bari. Ma, boutade a parte, è evidente che ora in casa Olbia le preoccupazioni siano ben altre. A maggior ragione dopo gli sviluppi degli ultimi giorni in seno al Consiglio federale, l’attenzione dei bianchi resta focalizzata al campo, con l’orecchio teso alle decisioni degli organi federali e del Governo: l’attesa è tutta per l’incontro del prossimo 28 maggio tra il ministro Spadafora e le istituzioni calcistiche, per capire se si riprenderà e, in quel caso, quali saranno le modalità. La linea societaria, espressa più volte dal patron Marino nelle scorse settimane, è sempre la stessa e va nella direzione di quanto dichiarato da Ghirelli, ossia che le risorse della Serie C non sono compatibili con i protocolli sanitari validi per la A, così come non si può pensare di chiudere una stagione con retrocessioni a tavolino o playoff e playout con 12 giornate ancora da giocare, nelle quali può succedere di tutto. Ecco perché, in questo clima, in cui tutto è in continuo divenire, il fantamercato (anche a livello di proprietà) appare un tema un pelo inappropriato.
Francesco Aresu