La partita della seconda giornata tra Cagliari e Inter è stata oggetto di discussione più per quanto accaduto prima, durante e dopo il rigore segnato da Lukaku che per quanto detto dal campo dal punto di vista tecnico.
Ieri la Procura Federale ha messo la parola fine alla vicenda: il Cagliari non è stato sanzionato, ma allo stesso tempo sono stati confermati dalla sentenza assolutoria “i versi” di pochissimi tifosi presenti in curva Nord, ma non appartenenti al gruppo organizzato. Dall’Inghilterra arrivano reazioni di sconcerto a tal proposito, con il Guardian e la BBC fra gli altri che sottolineano come il Cagliari sia stato punito per il lancio di bottiglie e non per l’episodio di razzismo nei confronti dell’attaccante nerazzurro. Una sentenza positiva per la società rossoblù, che a livello internazionale suona però quasi come una punizione a livello di immagine per il Cagliari e per la Serie A, da tempo sotto la lente d’ingrandimento per il tema razzismo e per la difficoltà nel prendere adeguate contromisure contro il fenomeno.
CLAMORE MEDIATICO SBILANCIATO – Un altro conto è però il differente peso che viene dato a situazione pressoché identiche, per non parlare dello sbilanciamento fra episodi di gravità inversamente proporzionale al clamore mediatico che fanno nascere. Cagliari è diventata senza volerlo l’esempio principe del razzismo negli stadi nonostante ogni giornata di campionato presenti episodi ben più eclatanti – e strutturati, in alcuni casi, come successe a Verona nel 2001 con il mancato tesseramento di Patrick Mboma, allora al Parma, con il patron Pastorello a giustificare il niet al camerunense perché “di colore e i tifosi non lo permetterebbero mai” – di quanto avvenuto alla Sardegna Arena: ultimi della serie gli ululati rivolti a Kessie dalla tifoseria del Verona, ma senza andare troppo lontano basterebbe ricordare i cori contro Bakayoko all’Olimpico in Lazio-Milan della passata stagione o il trattamento riservato a Balotelli praticamente in ogni stadio. E allora perché Muntari, Matuidi, Kean e Lukaku fanno più clamore dei continui episodi di razzismo che avvengono altrove? Solo una questione di peso mediatico, di mera politica, oppure c’è dell’altro?
QUANDO LA REAZIONE CAMBIA TUTTO – Come detto dal presidente Giulini in ognuna delle occasioni citate, la conformazione della Sardegna Arena è una sorta di unicum nel panorama della Serie A: stadio piccolo, tribune attaccate al terreno di gioco, i microfoni a bordo campo ad amplificare quanto accade sugli spalti. Il catino rossoblù porta anche un’altra conseguenza: se altrove quanto accade sulle tribune viene sentito chiaramente in televisione esattamente come a Cagliari, al contrario la percezione che si ha dal campo è nettamente differente. Alla Sardegna Arena qualsiasi insulto rivolto a un giocatore può essere udito soprattutto quando la vittima è in prossimità degli spalti, mentre in altri stadi (come l’Olimpico o il Bentegodi) c’è una percezione differente fra quanto sentono i calciatori e quanto i telespettatori. Ecco che per questo motivo a Cagliari si è assistito alle reazioni di Lukaku e Kean fra gli altri, mentre altrove il bersaglio degli insulti ha continuato serenamente a giocare: è proprio la ribellione del calciatore di turno a fare la differenza mediatica fra un episodio e un altro.
LO STADIO È UN MICROCOSMO – Con questo non si vuole assolutamente dare la colpa al Lukaku del caso, lungi da noi. Ma è evidente quanto possa creare un peso differente una reazione rispetto al silenzio e a conferma di ciò basterebbe ricordare l’episodio di Koulibaly a San Siro nel Boxing Day della passata stagione, quello di Balotelli in un Chievo-Inter di alcuni anni fa o ancora Zoro in Messina-Inter: anche allora fu la reazione dei tre calciatori ai cori a dare la spinta al successivo clamore mediatico. Detto che i versi anche solo di un tifoso devono essere sempre e comunque stigmatizzati e condannati, sorprende che ci si stupisca della presenza di alcuni elementi razzisti all’interno degli stadi, sia nella Sardegna Arena che altrove: lo stadio è un microcosmo che rispecchia la società tutta, pensare che dentro le strutture sportive non ci siano persone razziste è pura e semplice utopia.
La soluzione arriva, come sempre, dall’Inghilterra: per combattere il razzismo negli stadi urge affidare la gestione degli stadi alle società, facendole diventare responsabili dell’ordine pubblico e dando pieni poteri nell’escludere i razzisti dalle tribune. Al contrario, dopo ogni giornata si assisterà al teatrino mediatico, ma senza arrivare mai a una soluzione, lasciando così campo libero alle poche mele marce che infangano il nome di un’intera tifoseria creando un circolo vizioso senza fine, utile solo a riempire le pagine in assenza di altri temi.
Matteo Zizola