C’è l’elogio della follia e c’è l’importanza della normalità. Può servire l’una o l’altra, la differenza la fanno i momenti. Leonardo Semplici ha scelto la seconda, percorrere una strada fatta di pochi concetti e tanta tranquillità mentale. Perché, in fondo, l’impresa eccezionale è essere normale cantava Lucio Dalla.
Questione di testa – È nei dettagli che si può marcare la differenza e se il tempo è poco l’unico modo è concentrarsi su ciò che si può davvero cambiare. Inutile fare voli pindarici, pensare in grande o cercare la rivoluzione. Pochi concetti immediati e tanto lavoro nel cervello dei singoli e del gruppo. La ricetta di Leonardo Semplici è l’elogio della normalità, tutt’altro che aspetto negativo, anzi. La vittoria di Crotone lo aveva anticipato, quella contro il Bologna lo ha confermato. Il Cagliari non aveva bisogno, con la barca in mezzo alla tempesta, di urla o capricci, ma solo di comprensione e manovre che tranquillizzassero la ciurma. E così ha lavorato il nuovo comandante, partendo dalla testa ma non limitandosi a un lavoro da fine psicologo. Non da solo, perché se il Cagliari vuole scrivere una storia importante e Semplici esserne l’eroe, non può mancare l’aiutante magico ovvero Stefano Capozucca, l’esperienza che serviva nel momento del dramma sportivo.
In mezzo al campo – Se soffri, aggiungi un centrocampista. La mediana come chiave di volta, perché d’altronde non bastano sempre e solo tre difensori se manca l’equilibrio nel complesso. Quello che per mesi ha cercato Di Francesco e che ha trovato in pochi giorni il suo successore. Non solo, ma grazie a un uomo che proprio il tecnico abruzzese ha voluto a gennaio, quel Duncan che davanti alla difesa, da mediano vecchio stampo, ha dato solidità e ragione d’essere al collettivo. Marin e Nainggolan così possono decidere di aiutare il ghanese o liberarsi in verticale, più spazio davanti a sé e più copertura alle spalle.
Uomo nella zona – Non solo Duncan, ma il processo di normalizzazione è anche un ritorno al passato del quale non ci si deve vergognare. D’altronde quando il gioco si fa duro è legittimo tornare a concetti antichi, zona sì ma con attenzione massima alle marcature a uomo. I calci piazzati non creano più panico, Godín e compagni seguono i diretti avversari e il terzo tempo di Bremer è un lontano ricordo. Non solo però i palloni da fermo, ma anche diventare l’ombra di chi può far male, come Duncan su Soriano, Rugani prima e Ceppitelli poi su Sansone, Klavan su Orsolini. Godín il comandante dal profumo di cholismo, tornato ai fasti di Madrid, muro alzato e difesa arcigna come ai bei tempi in maglia Atletico. E le punte come primi baluardi perché è tutti assieme che si può vincere le battaglie fino a vincere una guerra chiamata salvezza.
Tutti per uno, uno per tutti – Solo lo spogliatoio può dire cosa non andasse con Di Francesco, ma il cambio di passo mentale non può essere limitato a un cerchio a fine partita, tutti uniti e carica finale. Una scintilla, un chiarimento, la sensazione data dal linguaggio dei corpi di tensioni messe alle spalle. Semplici il normalizzatore senza che ci sia nulla di male, anzi, nell’esserlo. Sei punti, facce distese non solo per una classifica che migliora, anche se resta un percorso ancora lungo da affrontare e poco se non nulla si è fatto. L’impresa però ora è passata dal miracolo sportivo a una realtà che può essere creata, altre concorrenti riavvicinate e un mal comune mezzo gaudio più vero che mai in questa stagione.
In un periodo nel quale si discute dei pro e dei contro della costruzione dal basso, Semplici contro il Bologna ha mostrato di non avere dubbi. Palla lunga e le chiacchiere lasciate ai salotti, aggressività, unione e sacrificio. Concetti chiave, scolastici, senza frizzi e lazzi. Chissà se il tecnico di Firenze penserà a Lucio Dalla dopo i sei punti in due partite, a quell’impresa eccezionale di essere normale. Intanto i punti sono ora 21, il Torino sorpassato – anche se con due partite in meno – e il trio Benevento, Fiorentina, Spezia a una distanza impensabile fino a due gare or sono. È solo l’inizio, ma chi ben comincia, si sa, è a metà dell’opera.
Matteo Zizola