Otto stagioni e mezza da quel giugno del 2014 quando Tommaso Giulini rilevò il Cagliari da Massimo Cellino. Un periodo ricco di alti e bassi, più i secondi che i primi, e che ha regalato diverse delusioni senza che il salto di qualità atteso fosse compiuto. Soprattutto l’ultima retrocessione ha lasciato il segno sia nella società che nell’ambiente, un rapporto ai minimi storici almeno fino alla svolta arrivata nel finale del 2022.
Primo passo
Velleità europee, la prima retrocessione, la risalita immediata e la politica dei piccoli passi che si è scontrata con la voglia di farne uno più lungo della gamba. Salvezze all’ultimo respiro, la cessione di Nicolò Barella come anticamera del nuovo tentativo di crescita, l’obiettivo parte sinistra della classifica della Serie A toccato con mano nel primo scorcio della stagione 2019-20, quella degli investimenti importanti e di un Cagliari che sogna. Poi il crollo verticale, gli allenatori bruciati uno a uno, i giocatori che vanno e vengono senza valorizzazioni di rilievo, anzi, con una discesa continua nelle valutazioni sul mercato. Uno a uno saltano condottieri e direttori sportivi, mentre Giulini continua la politica dei nomi e del decisionismo. Poi, all’improvviso, quando la seconda retrocessione impone riflessioni totali, quando anche la Serie B regala delusioni e una classifica deficitaria, ecco arrivare il colpo di spugna. Pensato, studiato, non deciso da un giorno all’altro, almeno per quel che riguarda i ruoli societari. Via Capozucca, via Passetti, rivisitazione totale di posizioni e compiti, un passo di lato che trova il suo culmine quando Natale è ormai prossimo. L’ambiente che ruggiva chiede a gran voce il tentativo dei tentativi. Il salvatore della patria da far tornare in Sardegna dopo 31 anni, a costo di rischiare di sporcare un ricordo indelebile. Claudio Ranieri e Giulini si trovano, il tecnico romano si mette una mano sul cuore e dice addio alle paure di rovinare il passato, il presidente capisce che la mossa può solo portare dividendi, di immagine e anche di risultati. E dopo aver dato le chiavi della direzione sportiva a Nereo Bonato, ecco che quelle della parte tecnica finiscono nelle mani di Ranieri.
Fuga dal deserto
C’è una canzone del gruppo cagliaritano Sikitikis che può essere d’aiuto per descrivere il momento in casa Cagliari. La piccola rivoluzione di Giulini ha nel duo Ranieri-Bonato l’inizio, ma non solo. “Cerco un complice per la rivoluzione, non ho bisogno di nulla di particolare e vorrei che fossi tu a portarmi lontano, vorrei che fossi tu a tenermi per mano“. Il presidente rossoblù si è affidato a Sir Claudio, icona inscalfibile che funziona da garanzia per un ambiente depresso. E per le successive mosse, perché Ranieri difficilmente accetta una sfida senza le dovute rassicurazioni. L’all-in di Giulini è tutto qui, anche con se stesso. Un freno scelto per fermare le tentazioni da ghe pensi mi, in tutto e per tutto. Una garanzia per l’ambiente che sì, forse questa volta la piccola rivoluzione è reale e non solo di facciata. Così dopo l’arrivo del tecnico idolo della piazza, ecco che la prima mossa di mercato non risponde a una figurina da spendere per ravvivare l’ambiente, ma al nome di Paulo Azzi. Un onesto esterno di fascia, arrivato dal Modena e senza un passato da grandi palcoscenici e un ingaggio da un milione o più. Un elemento funzionale, chiesto e approvato dall’allenatore e subito lanciato nella mischia alla prima occasione. Una svolta nei fatti, un primo passo verso il cambiamento di filosofia.
Addio al pupillo
“Ho bisogno di una piccola rivoluzione, senza slogan senza armi e senza barricate, ma con un pensiero di condivisione e svegliarci la mattina con il sole“. È tutto qui il nuovo corso e, se si volesse trovare l’esempio degli esempi, la cessione in prestito al Nacional Montevideo di Gastón Pereiro ne è l’espressione massima. Il contrasto tra passato e futuro, perché il Tonga arrivò nel gennaio 2020 come scelta unica e insindacabile di Giulini. Non condivisa, appunto, ma un pallino, uno sfizio da portare in Sardegna cogliendo l’occasione data dal mercato. Mentre Maran chiedeva un difensore e Carli – direttore sportivo di allora – provava ad accontentarlo, ecco spuntare dal cilindro del presidente un fantasista uruguaiano dal sinistro magico ma difficilmente collocabile in campo. Stipendio monstre, alti e bassi a dare seguito a quelli di chi lo ha scelto, il tentativo nel tempo di cederlo senza ricevere offerte pari alla domanda rossoblù, i no ai prestiti gratuiti. Finché dentro la piccola rivoluzione anche Pereiro ne diventa un simbolo. Trasferimento temporaneo e gratuito, una parte dell’ingaggio ancora a carico del Cagliari, il “voglio giocatori che vogliono stare qua, altrimenti li accompagno fuori” di Claudio Ranieri preso alla lettera ed eseguito. La vittoria contro il Como, assieme a passaggi sofferti ma ormai obbligati per riconquistare un minimo di credito, sembrerebbe davvero aver riportato il sole. Con un dubbio, perché dopo otto stagioni e mezzo ricche di errori sia strutturali che mediatici – con un unico minimo comune denominatore – è lecito non fermarsi ai tre indizi che fanno una prova. Ranieri, Azzi e Pereiro non bastano come simboli della piccola rivoluzione se nel tempo non dovesse essere confermato il cambio di rotta gestionale. Se le famose tentazioni di decisionismo e di sfizi da togliere – Godín, Strootman, Keita e tanti, troppi altri – non saranno davvero state chiuse a doppia mandata dentro un cassetto, senza la voglia di riaprirlo per mettere nuovamente la propria firma. Solo così il nuovo corso, al momento appena all’inizio, potrà essere definito tale. Al contrario il ritorno al vecchio modus operandi potrebbe essere la pietra tombale nei rapporti tra presidente e piazza, quella definitiva e senza appello.
Matteo Zizola