Luoghi comuni e frasi fatte che diventano realtà di fronte alla prova del campo. In un calcio nel quale sempre di più gli allenatori sostituiscono il club, nel quale non sono più due squadre a sfidarsi ma due tecnici. Ranieri contro Inzaghi e non Cagliari contro Reggina, come se a scendere sul terreno di gioco fossero i condottieri e non i giocatori. Eppure, proprio nella sfida del Granillo, i rossoblù sono apparsi nella sostanza a immagine e somiglianza del tecnico romano. Il Cagliari di Ranieri, appunto, nei fatti e non solo nelle parole.
Dritti al punto
Non solo un’idea, perché la conferma arriva dai dati. Una svolta lenta ma non troppo quella impressa dall’allenatore classe ’51 a un gruppo ormai lontano parente di quello della prima parte di stagione. Dal punto di vista mentale e di atteggiamento, ma soprattutto da quello della filosofia di gioco. Il Cagliari di Ranieri è una realtà che va oltre le vittorie larghe contro Ascoli e Reggina, che va oltre gli otto gol fatti in un tempo e mezzo, che va oltre la difesa blindata. Il dato più eclatante che segna la differenza con l’era Liverani è, manco a dirlo, quello relativo al possesso palla. Statistica che però dice tutto e niente, essendo non su base prettamente temporale, ma estrapolata dal numero di passaggi rispetto agli avversari diretti. Lasciando da parte la gara contro il Cosenza con Pisacane in panchina, il Cagliari è passato da una media del 57,2% di possesso al 47,3%. Se in totale il 53,6% di media tra i due allenatori pone i rossoblù al quarto posto della speciale graduatoria – guidata dal Genoa con il 57,7% – considerando il solo dato da quando Ranieri è tornato in Sardegna il Cagliari è in quartultima posizione, davanti soltanto a Cosenza, Perugia e Sudtirol. Lapadula e compagni troveranno proprio gli uomini di Bisoli alla Unipol Domus al rientro dalla sosta, in una sfida tra due filosofie per certi versi simili almeno alla voce controllo del gioco. Come detto il possesso palla è un dato che va letto sulla base dei passaggi effettuati e completati ed è qui che il Cagliari dimostra ancora di più un’inversione di tendenza netta. Nel periodo con Liverani alla guida i rossoblù ne effettuavano quasi 467 a gara di media, con Ranieri invece il dato è sceso a quasi 365 a partita. Di questi 271 quelli riusciti dall’avvento del tecnico romano, mentre nella gestione precedente erano 406. Con una percentuale di successo che è scesa dall’81,6 al 73,5 e frutto, appunto, di una filosofia che si è trasformata dal controllo del pallone attraverso passaggi corti al tentativo di arrivare nell’area avversaria il più rapidamente possibile, anche con l’utilizzo maggiore dei lanci lunghi. Che, come conseguenza, porta a maggiori duelli e contrasti, altro dato differente tra il Cagliari di Liverani e quello di Ranieri. Quasi 13 a partita con l’allenatore ex Lecce, quasi 16 con Sir Claudio alla guida.
Parallelo
Potrebbe essere un caso, ma è il passato di Ranieri a confermare quanto il Cagliari attuale sia sempre più il suo Cagliari. Non solo per le parole spesso e volentieri usate su aspetti come la costruzione dal basso o il possesso palla portato agli estremi – tipologie di gioco che, eufemismo, non lo hanno mai affascinato – ma piuttosto per quanto raccontano le sue esperienze più felici degli ultimi anni in panchina. Il Leicester che vinse a sorpresa la Premier League nella stagione 2015-16, infatti, rappresentò un unicum statistico altrettanto sorprendente. A fine anno risultò terzultimo nel dato sul possesso palla (43,8% di media), penultimo in quello dei passaggi corti (267 di media) e ultimo per percentuale di passaggi riusciti (69,8%). Dati che spiegano bene la filosofia di Ranieri, tanto che come conseguenza il suo Leicester risultò nei primi posti nelle classifiche relative ai contrasti, alle palle intercettate, alle reti segnate in contropiede e ai lanci lunghi effettuati. Il suo 4-4-2 dell’epoca, peraltro, non appare così distante dal 4-3-1-2 messo in mostra nel secondo tempo contro l’Ascoli e nella trasferta di Reggio Calabria. Le individualità con le loro caratteristiche, infatti, non dissimili rispetto al Cagliari attuale fatte le dovute proporzioni. Due centrali poco propensi alla costruzione e pronti a servire immediatamente gli esterni, un terzino di spinta estrema – Azzi è il Fuchs del Leicester – e un altro più attento pur senza disegnare le avanzate – Zappa vs Simpson – per quel che riguarda la difesa. Una cerniera di centrocampo che nel Leicester abbinava i polmoni e la corsa di Kanté alle geometrie semplici e all’interdizione di Drinkwater, così come nel Cagliari la corsa su e giù di Lella è appaiata ai tentacoli e alla costruzione senza fronzoli di Makoumbou. Il lavoro di Nández e Mancosu, inoltre, uno da finta mezzala e l’altro da trequartista libero di spaziare assomiglia e non poco a quello di Albrighton e Mahrez, il primo crossatore seriale e il secondo fantasista senza catene. Infine Prelec che con il suo lavoro oscuro e terminale dei palloni lunghi da gestire ricalca il ruolo di Okazaki e Ulloa, partner del centravanti che si alternavano e fungevano da uomini di sacrificio, e Lapadula a rispecchiare il Vardy del Leicester, attacco della profondità e soprattutto pronto a tagliare dentro l’area per raccogliere i tanti cross che arrivano dall’esterno. Un parallelo che si potrebbe ripetere guardando alla Sampdoria versione Ranieri del biennio 2019-21, un calcio che divide il campo in zone verticali più che orizzontali e che punta, appunto, sulla ricerca della verticalità e nelle transizioni rapide. E che ha trovato nello spirito di gruppo, nell’aiuto reciproco e nella veloce intensità la chiave del successo.
Matteo Zizola