La passione per Cagliari come archetipo delle emozioni. Un legame innato con il rossoblù pur non avendo mai messo piede sulla terra di Sardegna. La storia di Favio O’Neill sembra quella di tanti ragazzi del suo Paese, l’Uruguay, che sognano di arrivare nel calcio europeo passando per quel porto sicuro che è il Cagliari, lì dove molti connazionali sono diventati veri e propri eroi. Una storia come tante se non fosse per quel cognome che lascia poco spazio ai dubbi, perché Favio è il figlio di Fabian O’Neill, uno dei giocatori con maggiore talento passati in cento anni di storia a tinte rosse e blu.
Cresciuto a pane e sogni
Classe 2003, Favio ha ereditato dal padre il ruolo in campo, centrocampista: “Mi piace giocare come 5, come volante (il classico ruolo del calcio sudamericano che ricopre il giocatore che svaria tra difesa e attacco in mezzo al campo per impostare, chiudere e rifinire ai compagni). Da due stagioni milito nell’Under 17 del Fenix di Montevideo (club che gioca nella Primera Division uruguaiana)”. Più forte negli assist che nei gol: “L’anno scorso non sono riuscito a segnare in campionato ma sono risultato uno dei migliori della squadra per assist serviti”. Con un padre come Fabian per Favio è stato facile avvicinarsi al calcio: “Da ragazzino non avevo altri pensieri. Il pomeriggio uscivo per strada a giocare a pallone con gli altri bambini e tornavo la sera a casa. A Paso De Los Toros c’era poco altro da fare. Papà mi ha dato alcuni consigli quando ha iniziato a capire che ci sapevo fare con la palla tra i piedi: usa sempre la destra e la sinistra nel portare il pallone in avanti, gioca il più semplice possibile e non abbassare mai la testa. In più mi ha dato dei consigli sulle punizioni: mettila sempre tra il terzo e il quarto della barriera. Da bambino ogni volta che segnavo mi dava una moneta. Me ne dava due se segnavo di testa e tre se facevo gol direttamente da calcio di punizione”.
L’Uruguay come destino
Destro naturale come papà, anche se di Fabian il Maestro Tabarez ripeteva sempre: “Non ho mai capito se fosse destro o mancino” per la facilità di colpire e stoppare il pallone con entrambi i piedi. Prima di passare nel settore giovanile del Fenix Favio ha giocato anche nel Nacional, la stessa squadra di Oliva e Pereiro: “Cerco di seguirli sempre i giocatori uruguaiani del Cagliari, anche se non è semplicissimo perché qui in tv spesso danno più la Juve, il Milan o l’Inter. Pereiro è molto forte e ha un tiro incredibile mi spiace si sia infortunato ora, ma il mio preferito resta Nahitan Nandez. Che giocatore. Corre, picchia, passa sempre la palla ai compagni”. L’idolo d’infanzia però è un altro: “Messi, semplicemente il giocatore più forte di tutti”. E dopo tanto parlare di uruguaiani una domanda è d’obbligo: come sta papà? “Si sta riprendendo, ora sta bene e da circa un mese non beve nulla”.
Tra immaginazione e ricordi
Fabian gli ha trasmesso una sana follia per il rossoblù con i suoi continui ricordi di Cagliari: “Fin da piccolino papà mi parlava per ore della città, della squadra, del calore dei tifosi. E alla fine sono diventato un tifoso rossoblù anche io. Mi ricordo diverse chiamate con i suoi ex compagni, su tutte ne ricordo una con Daniele Conti che mi disse che mio padre era uno dei giocatori più forti al mondo. Lui è davvero un idolo, qui gioco con la 5 come lui ma non ho un numero preferito in realtà. A settembre dovevamo venire in Sardegna con la famiglia e se ci fosse stata l’opportunità avrei fatto un provino per il settore giovanile del Cagliari. Purtroppo la pandemia ha stoppato tutto. Ora però, se tutto va bene, verso dicembre vorrei venire con papà e suo fratello Rider, che anche lui ha già giocato in Sardegna. Spero di avere l’occasione per provare con la Primavera e guadagnarmi una possibilità. Ho due sogni nella mia vita: esordire con i rossoblù alla Sardegna Arena e fare una presenza in Nazionale. Non vedo l’ora di essere lì a Cagliari, ho tanta voglia di spaccare il mondo e anche la giusta ansia”. E chissà che gli dei del calcio non diano alla fame e alla voglia di emergere del figlio alcune nuove chance che il talento cristallino del padre non riuscii ad ottenere. Anche questo sarebbe un archetipo abbastanza ricorrente nelle grandi storie del pallone.
Roberto Pinna